Francesco D’Andrea era nato a Gaeta nel 1907,
negli ultimi anni della sua vita si presentava come un attempato signore
dall’aspetto distinto e dai profondi occhi azzurri che, passeggiando in
compagnia di amici più giovani, discorreva piacevolmente del più e del meno.
Chi lo conosceva lo chiamava “Colonnello D’Andrea”, nonostante avesse
raggiunto, con la pensione, il grado di Generale di Brigata. L’umiltà che lo
aveva sempre contraddistinto forse, dipendeva proprio dall’aver conosciuto la
guerra e perciò egli appariva semplice, ma mai vanitoso del suo passato.
Nell’ascoltare, le sue narrazioni avevano il sapore del mistero pari a quello
ricavato dal leggere un libro di Salgari e affondavano direttamente nei suoi
ricordi di guerra.
Giovane ufficiale d’Artiglieria di complemento
era stato destinato nel 1937 all’Africa Orientale, comandante di un plotone di
ascari cammellati, unico italiano in un reparto di indigeni, preposto al
controllo delle linee di confine tra il giovane impero italico ed i
possedimenti britannici. Egli presentava con ironia i rapporti che
intercorrevano, prima dello scoppio del conflitto, tra lui e un ufficiale
inglese che svolgeva il suo stesso incarico operativo e con il quale era solito
scambiare sigarette italiane con cioccolata e liquore d’oltremanica, ricordava
con meraviglia come i suoi ascari cucinassero enormi uova di struzzo al sole
degli altipiani africani, elogiava la
fedeltà incondizionata del suo plotone, fino al momento in cui, volgendo al
peggio le sorti della guerra italiana, per ordine degli Stati Maggiori lo
dovette congedare, ricorrendo alle maniere forti per i più riottosi che non
volevano svestire la divisa, solo per evitare che quei soldati potessero
incorrere nella furia omicida delle truppe etiopi al seguito degli inglesi, che
li avrebbero torturati ed uccisi in maniera atroce. In quel periodo D’Andrea aveva conseguito una promozione
per merito di guerra. Era entrato in servizio permanente nell’esercito, ed il
suo valore gli avrebbe in seguito, meritato una medaglia di bronzo al valore
militare, nei duri combattimenti a cui aveva partecipato, tra il 26 e il 31
gennaio 1941 nella difesa dell'Impero. Appariva sincero nei suoi commenti e spesso si soffermava
sulle difficoltà organizzative e logistiche, a cui si erano trovate esposte le
nostre truppe, a suo dire sommariamente preparate alla guerra. Era stato
catturato da parte delle truppe inglesi, contro le quali alla fine si erano
trovato a combattere inquadrato nella 46ª Brigata Coloniale, dopo
essere riuscito col proprio reparto a fermare temporaneamente l’avanzata
dei carri armati nemici, durante l’epica battaglia per la difesa di Cassala
nello scacchiere nord dell’Africa Orientale. Era riuscito a scappare per ben
due volte da un campo di concentramento inglese in India, ove era stato
trasferito nell’estate del 1941, e spesso narrava di come, dopo essere stato
ripreso in compagnia di un tenente dei carabinieri, per distoglierlo dal
ritentare nuovamente la fuga, il comandante del campo di prigionia lo aveva
fatto anestetizzare dai sanitari e gli aveva fatto estirpare tutti i denti.
Nonostante i fatti vissuti, mai ebbe a perdere la gioia della
vita e continuava col ricordo a tenere desto e ad insegnare il senso della
dignità personale e del rispetto verso gli altri. Tali qualità le conservò e le
testimoniò sempre, fino a quando, in punta di piedi, raggiunse la sua compagna
di vita, deceduta qualche mese prima, e amata con una dedizione paragonabile
solo a quella con cui aveva servito la patria. Questo era Francesco D’Andrea, puro di cuore e dagli
occhi color del cielo: azzurri come il suo vecchio modello di automobile che
continuava guidare nonostante l’età, azzurri come la sua sciarpa da ufficiale,
la vecchia Savoia, che aveva onorato con quaranta anni di vita con le stellette.
Questa la motivazione della Medaglia di Bronzo
al Valor Militare:
“Sottocomandante di Batteria da 65/17, durante 5 giornate di duri
combattimenti si prodigava oltremisura nella condotta e nell’esecuzione del
fuoco contro forze preponderanti. Ricevuto l’ordine di ripiegare su posizioni
arretrate, nonostante le perdite subite e la situazione resa grave
dall’incalzante avversario, riusciva, con audaci azioni di contrassalto a
contenere l’aggressività e a porre in salvo il suo reparto: Avuto sentore che
una stazione radio da campo era rimasta arretrata, si portava in zona
particolarmente battuta e riusciva dopo eroici sforzi a recuperare il mezzo
efficiente.”
Africa Orientale 26 – 31
gennaio 1941
Salvatore Palladino