giovedì 10 luglio 2014

Flop-35


Arriva l'ennesimo colpo al discusso programma F-35, il super cacciabombardiere sviluppato dalla Lockheed Martin di cui l'Italia dovrebbe acquistare 90 esemplari nei prossimi anni. Dopo un grave incidente in volo avvenuto in Florida il 23 giugno il Pentagono ha deciso di interdire il volo a tutti gli F-35 della flotta americana in attesa di ulteriori verifiche sulla sicurezza. Fonti della difesa USA hanno attribuito l'ultimo incidente ad una perdita d'olio ad uno dei motori che avrebbe causato un improvviso incendio al sistema propulsivo, circostanza simile a quella che si era già verificata nel 2012 imponendo anche in quel caso un parziale stop ai voli. Le verifiche attuali riguarderanno tutti gli aerei in dotazione all'Air Force e alla Marina con principali indiziati i motori realizzati dalla ditta Pratt&Whitney che non garantirebbero sufficiente affidabilità. La notizia è rimbalzata in mezzo mondo alimentando i dubbi di quanti vedono nel più costoso sistema d'arma mai progettato un inutile spreco di risorse in tempi in cui, specie per paesi come l'Italia, le possibilità d'impiego strategico di un areo simile sono molto limitate. Proprio in quest'ottica il ministro degli Esteri Mogherini ha ribadito che, nel quadro degli ammodernamenti degli equipaggiamenti militari 'intesa con gli alleati, l'acquisto del supercaccia è sotto revisione in attesa della pubblicazione del "Libro bianco" del Ministero della Difesa sulle necessità delle forze armate.     
 
In realtà l'intero progetto presenta elevate criticità che ne mettono in dubbio l'effettiva utilità.  L'F-35 Lightening II, denominato anche Joint strike fighter, è un programma  lanciato dagli Stati Uniti insieme ad altri otto paesi, tra cui l’Italia, all’inizio degli anni novanta per costruire F-35, cacciabombardieri ipertecnologici di quinta generazione, si tratta del programma militare più costoso di tutti i tempi che prevedeva, nella sua versione originaria, la realizzazione di 3.173 velivoli da parte della Lockheed Martin per una spesa complessiva di 396 miliardi di dollari, ma tenuto conto del lievitare dei costi in corso d'opera e delle spese per la manutenzione ordinaria degli aeromobili è difficile quantificare in maniera esatta il costo definitivo dell’intero progetto. Innanzitutto non va trascurato il fattore cronologico che ha inciso sulla nascita e lo sviluppo del mezzo, quando è stato concepito l'F-35 avrebbe dovuto rappresentare "l'aereo finale", il modello definitivo di caccia multiruolo che, dopo la fine della Guerra Fredda, non avrebbe avuto concorrenti in una progressiva unificazione sotto l'ombrello NATO degli alleati europei nello operazioni di polizia internazionale a guida americana, le uniche operazioni belliche che apparivano all'epoca all'orizzonte ed in cui il ruolo di predominio dell'aviazione sarebbe stato determinante come già era stato dimostrato dalla prima Guerra del Golfo. In realtà non si considerò il ruolo, sia pure ancora oggi debole e claudicante, dell'integrazione europea anche in ambito delle politiche di esteri e difesa che avrebbe portato ad una biforcazione degli interessi e delle politiche di difesa all'interno dello stesso ambito del Patto Atlantico. Non a caso negli stessi anni vide la luce il progetto EFA che tra il 2003 e il 2005 ha condotto alla produzione dell'Eurofighter Typhoon, caccia multiruolo concorrente degli F-35 che in breve è diventato l'aereo di punta delle aeronautiche militari del vecchio continente soppiantando, anche seno all'Aeronautica Militare Italiana, i vecchi Tornado e gli F-16. Inoltre, l'ottimismo per una ritrovata ampia crescita economica mondiale dopo la fine della contrapposizione tra i blocchi e la certezza per i risparmi che si sarebbero realizzati con il ridimensionamento degli eserciti permanenti, convinsero circa la sostenibilità economica del faraonico progetto, ma la solidità economica degli stati partner del progetto è stata falcidiata dalle ripetute crisi degli ultimi anni e, in tempi di indignados, occupy e grillini, molti governi hanno preferito non passare per feroci e insensibili guerrafondai ed hanno sforbiciato i bilanci della difesa. Ma il progetto ha manifestato negli anni anche non pochi inconvenienti di carattere tecnico, l'aereo ha mostrato una intrinseca fragilità dovuta all'avvio della produzione in serie prima dei collaudi finali sulle versioni di prototipo e dunque difetti ed esigenze tecniche sono emersi solo nella fase dei successivi collaudi rendendo necessarie modifiche e riprogettazioni che hanno fatto lievitare i costi e ritardato ulteriormente una produzione già rallentata che ha accumulato già otto anni di ritardo sulla tabella prevista, a fronte di un invio in servizio previsto per il 2000, secondo il Ministero della Difesa britannico gli esemplari delle versioni definitive saranno disponibili solo nel 2018. Anche in America il Government Accountability Office, l'autorità federale che vigila su appalti e conti pubblici degli Stati Uniti, ha denunciato in un rapporto datato 2012 ritardi, errori tecnici e costi esorbitanti del progetto facendo nascere un acceso dibattito interno sulla convenienza del programma malgrado le rassicurazioni della Lockheed circa la correzione degli inconvenienti e l'aumento dei test pre-consegna sui velivoli.
 
L'Italia è partner di secondo livello del progetto Joint strike fighter, avendo avviato nel 1994 la fase di valutazione tecnologica arrivando poi nel 1998 a sottoscrivere un accordo commerciale che prevede il finanziamento di circa il 5% sul totale del progetto e la costruzione e l'assemblaggio in Italia  di parte degli aerei destinati al nostro paese ed al mercato europeo, affidate ad un consorzio di imprese capeggiate da Alenia-Aermacchi del gruppo Finmeccanica. La previsione di spesa si aggira attorno ai 680 milioni di euro per un totale di 131 e le intenzioni sono di incrementare in tal modo l'occupazione assumendo un numero sempre maggiore di addetti con il progredire delle fasi del progetto che negli anni è stato confermato da tutti i governi che si sono succeduti di qualunque colore (anche quelli con ministri di Rifondazione e con componenti del Partito Radicale). Ma tali previsioni non sono più attuali poiché nel 2012 il ministro della Difesa De Paola ha ridotto a 90 la commessa italiana e si è avviato un balletto di cifre sul numero di operai necessari alla costruzione: per  Alenia sono da assumerne tra 1200 e 1500 per l'Aeronautica ne basterebbero 700. Fino ad ora lo stabilimento di Cameri, in provincia di Novara, ove è concentrato il meglio della tecnologia aerospaziale italiana ha prodotto ali e componenti per 15 aerei ma la produzione va a rilento e i costi lievitano: a fronte di un costo previsto di 61 milioni di euro per aereo oggi si è arrivati a 107 milioni per la versione avanzata, mentre le previsioni sui costi di manutenzione ipotizzano un amento del 20% spalmato su dieci anni. Su tutto questo incombe la sterzata del governo Renzi che, da un lato ha necessità di ingraziarsi gli alleati statunitensi e dall'altro non deve scontentare i propri sostenitori in patria, e così alle parole attendiste della Mogherini fa eco il ministro della Difesa Roberta Pinotti nel sottolineare che “il problema sono gli sprechi e non gli F-35”, lasciando intendere che la parola definitiva questione resta rimandata a tempi successivi e che, comunque, non si prevede al momento uno sganciamento dell'Italia dal progetto di acquisizione che, molto probabilmente, sarà ulteriormente ridimensionato ma non abbandonato.
 
Resta da chiedersi cosa dovrebbe farsene un paese dalle ridotte attività militari internazionali come l'Italia, che sia in ambito ONU che in ambito NATO concorre prevalentemente con le componenti terresti e nautiche oltre alla messa a disposizione delle basi aeree, di un cacciabombardiere ipertecnologico e costosissimo dalla ridotta affidabilità per di più in numero limitato a fronte dello sviluppo di progetti altrettanto validi, ed in parte già operativi, a costi assai più contenuti e dalle prestazioni più rispondenti alle esigenza nazionali.      
 
 

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