Carabinieri mobilitati con il primo modello di maschera "Ciamcian-Pesci", formata da un tampone di garze imbevute di soluzione alcalina
I primi anni del XX secolo, dominati da un forte progresso tecnologico, segnano la mutazione del concetto di uso delle armi convenzionali nei conflitti: mentre l’Europa borghese gode gli ultimi anni della Belle Epoque, i quadri militari già preparano nuove sperimentazioni nell'arte della guerra spesso finalizzate alla distruzione di massa degli avversari. Nel 1911 erano stati proprio gli italiani ad effettuare il primo bombardamento aereo nella guerra di Libia e l’episodio aveva reso consapevole gli Stati Maggiori che altri mezzi di offesa potevano essere preparati per vincere e sottomettere eserciti e volontà politiche. Da allora la totalità dei conflitti del novecento sono stati contraddistinti dall'uso generalizzato di quei sussidi di morte, culminando nei decenni successivi nell'uso dell’arma chimica prima, nucleare e batteriologica poi.
Fanti francesi in trincea con il modello di maschera "fazzoletto", in uso fino alla fine del 1915
Lanciere tedesco a cavallo, indossa una lederschutzmaske M17 in cuoio
La truppa cercò le prime contromisure con
l’impiego di pezze di stoffa imbevute d’acqua o d’urina, con scarsissimi
risultati concreti perché i soldati esposti alle nubi tossiche il più delle
volte restavano accecati e soffocati, con un effetto psicologico veramente
devastante. Nonostante la condanna generale verso tale tipo d’armamento, tutti
gli eserciti saranno pronti ad usarli perfezionando i primi imperfetti gas con
altri sempre più potenti e letali, verso i quali le prime maschere non riuscivano
a fornire una protezione accettabile. Circa un anno dopo l’episodio di Ypres,
anche sul fronte italiano si verificherà un avvenimento analogo, suscitando ancor
maggiore impressione nell'opinione pubblica italiana ed europea. Sul Monte San Michele sul versante
orientale del fronte, il 29 giugno 1916, i nostri fanti furono investiti prima
dal gas austriaco per poi essere sopraffatti nelle trincee dall'intervento di alcuni
reparti ungheresi che finirono la truppa, ormai inabilitata al combattimento, a
colpi di mazze ferrate e mazzafrusti.
Salvatore Palladino
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