In che modo era percepita la presenza occidentale dai civili?
La popolazione afghana è
tradizionalmente molto ospitale. In particolare, gli italiani godevano di una
palpabile stima, apprezzamento, simpatia da parte della popolazione locale. Per
quanto possa sembrare lontano, l’Afghanistan ha molti punti di contatto
culturali con i paesi mediterranei. Non si sono mai registrati atti di ostilità
da parte della società civile afghana in tanti anni, il che è davvero
gratificante.
A partire dal 2014, le forze regolari afghane furono incaricate di provvedere autonomamente alla difesa del territorio contro la guerriglia senza quartiere condotta dai talebani e da ISIS-K, una versione locale dell’ISIS.
I regolari afghani, durante
questi anni, sono stati equipaggiati ed addestrati dalla NATO e, con alterne
vicende e qualche rovescio, sono riusciti a tenere sotto controllo il paese
sebbene vi fossero intere regioni controllate dall’insorgenza talebana.
Le forze armate regolari di ogni
paese del mondo trovano nelle istituzioni centrali e nel favore del popolo che
difendono non solo la loro legittimazione morale, ma soprattutto spirituale. Da
esso traggono la linfa più preziosa per un combattente, che vale più di mille
cannoni: la motivazione. Con il ritiro delle forze della coalizione NATO dall’Afghanistan,
il governo locale e il presidente hanno, fondamentalmente, cercato soltanto una
via di fuga lasciando l’esercito afghano allo sbando. Una situazione che mi ha
riportato alla mente la drammatica esperienza vissuta dall’esercito italiano
l’otto settembre 1943.
Dal suo punto di osservazione, potevano dirsi giustificati gli ottimismi sulla tenuta in combattimento delle forze armate afghane?
Francamente, ottimismi non sono
mai stati espressi. Piuttosto, preoccupazione e qualche incertezza. Certamente
non ci si aspettava che il disfacimento del fronte interno avvenisse con tanta
rapidità ma, a ben vedere, era plausibile. L’Afghanistan durante questi venti
anni è stato, di fatto, un paese molto supportato e anche protetto dalla NATO,
come lo è ad esempio il Kosovo sin dal 1999. Se un amico ed alleato forte è obbligato
a lasciarti solo, le difficoltà possono essere insormontabili
Gli italiani, assieme a tanti
altri paese membri della NATO, ha svolto una lunghissima missione di “Training,
Advising and Assisting” sia per le unità militari dell’esercito afghano sia per
gli alti comandi ed i comandi operativi. L’Italia ha anche offerto molti
pacchetti di corsi di specializzazione, su base annuale, che si sono svolti sia
presso la nostra base ad Herat sia in Italia. In Italia abbiamo anche formato
molti ufficiali dell’esercito e dell’aeronautica afghana presso le nostre
Accademie Militari.
I talebani possono avere una effettiva capacità militare, anche utilizzando i materiali abbandonati dall’esercito?
I talebani non
hanno le competenze né le capacità per reimpiegare i mezzi abbandonati nelle
basi militari afghane. A parte le camionette blindate, che tutti possono
praticamente guidare, non dispongono di piloti per i velivoli né di tecnici per
gli apparati radio né di specialisti di artiglieria. Di sicuro possono
riutilizzare l’armamento leggero rinvenuto o sequestrato ma questa circostanza
è del tutto ininfluente e non può minimamente accrescere la loro capacità
offensiva.
Quali crede che possano essere le evoluzioni della situazione nel medio periodo?
I talebani hanno trovato molti
amici, nel ribaltamento del quadro geopolitico regionale. Alcuni amici li
avevano già tra i paesi confinanti e vicini, tra i quali il Pakistan e l’Iran.
Altri si sono fatti avanti con rinnovato slancio come la Russia e la Cina che -
in pochi lo sanno - confina con l’Afghanistan, ricchissimo di minerali preziosi
e rari come il Litio e il Talco, fondamentali per la fabbricazione di batterie
e componenti elettrici.
Il governo talebano dovrà, nel
medio periodo, occuparsi piuttosto del fronte interno dove un’intera
generazione di afghani è ormai cresciuta con una visione della vita, delle
opportunità, dei diritti del genere umano profondamente diversa da quella
offerta dal modello fondamentalista.
Le manifestazioni, le proteste
delle donne per le strade del paese erano inimmaginabili venti anni fa. Oggi
invece esse, assieme ai giovani, sfidano a testa alta un’autorità che non usa
mezze misure per reprimere. Queste sfide, queste lotte, queste battaglie del
popolo afghano sono la testimonianza più palpabile del lavoro fatto dai paesi
della Coalizione NATO, dall’ONU e dalle agenzie internazionali in questi venti
anni. Anni che non sono stati “inutili” come qualcuno ha detto. Sono invece gli
anni che hanno plasmato la generazione del futuro dell’Afghanistan.
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