domenica 20 dicembre 2020

Pink and green: The Return

L'esercito americano ritorna all'antico e riveste i propri soldati con la storica uniforme che ha caratterizzato gli anni della Seconda Guerra Mondiale. Dopo una sperimentazione durata diversi anni, e fortemente voluta dagli ambienti dell'U.S. Army, in questi ultimi mesi è iniziata la distribuzione della nuova tenuta denominata Army Green Service Uniform, che ricalca lo stile di quella introdotta alla fine degli anni '20 per gli ufficiali e che che prese il nome colloquiale di "pink and green", rosa e verde, dalla sfumatura particolare dei pantaloni che, in teoria, avrebbero dovuto essere in color khaki chiaro ma che, in realtà, assunsero una tonalità tendente al rosato.

L'uniforme fu iconica degli anni della guerra, composta da una giubba di color verde brunastro, con bottoni dorati e revers a lancia, abbinata ad un paio di pantaloni lunghi in khaki chiaro, fu la tenuta con la quale è rappresentato "Ike" Eisenhower in numerose immagini, così come fu l'uniforme immortalata in decine di pellicole sull'epica USA del secondo conflitto mondiale. Pensata come uniforme di servizio per i soli ufficiali, in tessuto di lana pettinato cavalry twill, si distingueva nettamente dalle tenute in dotazione alla truppa, che vestivano una combinazione di giacca e pantaloni entrambi color Army green, di qualità decisamente inferiore e dalla rifiniture assai più semplificate. Restò in uso ufficialmente fino al 1958, anche se già dal 1948 ne fu progressivamente limitato l'uso, tentando di ridurre le differenze visive tra ufficiali e truppa. Per decenni fu sostituita dalla Army green, unica per tutta il personale con piccole differenze, fino alla rivoluzione del 2010, quando fu introdotta la Army Blue Service Uniform, una combinazione di due tonalità di blu che riprendeva il colore delle tenute americane della guerra d'indipendenza e dell'esercito unionista. 

Ufficiali in Pink and Green durante la Seconda Guerra Mondiale

La nuova Pink and Green è stata adottata come con un chiaro riferimento alla "great generation" dell'esercito americano, quella che fece la Seconda Guerra Mondiale e gettò le basi dell'orgoglio USA per le proprie forze armate nel corso dell'ultimo secolo, un modo per rivendicarne l'eredità e, al contempo, celebrare gli uomini e le donne dell'esercito dopo un ventennio che essi sono divenuti nuovamente centrali nella politica e nella società americana.  L'innovazione che sa di antico è stato fortemente voluta proprio dagli ambienti dell'U.S. Army, intenzionati a recuperare il proprio patrimonio tradizionale ed a manifestare anche nell'immediatezza dell'aspetto la propria appartenenza, sempre su un sottile filo di rivalità con il corpo dei Marines. 

Il Generale Dwight D. Eisenhower 

Le uniformi di servizio saranno in prima distribuzione fino al 2028, data entro la quale si prevede di terminare la sostituzione delle tenute attualmente in uso, riservando la Army Blue unicamente alle occasioni cerimoniali. La giubba si caratterizza per le quattro tasche pettorali che nel taglio delle patte, così come il cinturino di stoffa in vita,  richiamano l'originale dell'anteguerra, dalla quale la differenziano i bottoni bruniti, la mancanza del taglio a quarti anteriore e le dimensioni più contenute dei baveri, per le donne sarà disponibile in una doppia versione sia con gonna che con i pantaloni, sempre color khaki.      


 

mercoledì 9 dicembre 2020

Carmine Pinto narra la guerra al brigantaggio

 


Dopo il profluvio di pubblicazioni, più o meno serie, che nell’ultimo decennio hanno affrontato la questione risorgimentale presentandola, spesso, come guerra di conquista del nord sul meridione, alla quale sarebbe seguita la resistenza “popolare” incarnata dal brigantaggio, è arrivato alle stampe uno studio rigoroso del prof. Carmine Pinto, ordinario di storia dell’Università di Salerno, “La guerra per il Mezzogiorno. Italiani, borbonici e briganti. 1860-1870”, edito da Laterza. Il libro tende a smontare certe recenti narrazioni semplicistiche che attribuiscono agli eventi del XIX secolo strumenti di lettura del presente, costruendo un mito fittizio basato sulla dinamica colonizzatore/colonizzato. 

L’analisi di Pinto parte dall’osservazione delle vicende militari che portarono al crollo della monarchia borbonica e poi allo svilupparsi del fenomeno dell’aggressività dei briganti, per incentrare l’attenzione sulle motivazioni politiche e culturali che vi erano sottese. Non si trattò unicamente di un conflitto locale, ma interessò protagonisti di tutta Italia e provenienti da più parti d’Europa, vedendo coinvolti interessi che superavano i confini del neonato stato unitario. Ma fu soprattutto conflitto tra due visioni e due realtà della società meridionale: meridionali erano i capi briganti e la stragrande maggioranza dei componenti delle bande, meridionali erano gran parte delle vittime e gli effettivi della Guardia Nazionale che sostennero gli scontri maggiori, entrambi gli schieramenti versarono un elevato tributo di sangue. Pinto analizza anche il cambio di paradigma sociopolitico che determina un esito completamente diverso rispetto ai tentativi rivoluzionari precedenti: la parte borghese e liberale della popolazione del Regno delle Due Sicilie era finalmente riuscita a costruire un blocco sociale dalla fisionomia definita, in grado di sostenere le proprie rivendicazioni in opposizione al governo borbonico e di raccogliere una fetta importante di consenso, specie nei centri urbani, per converso, il blocco di potere assolutista della monarchia dei Borbone si era rivelato incapace di costruire un apparato di potere al quale appoggiarsi, e che infatti implose immediatamente sotto l’urto unitario, ed aveva sottovalutato l’importanza del consenso popolare nello sviluppo della emergente realtà degli stati europei. È in parte una guerra civile, che vede contrapposti ceti emergenti convinti della necessità di agganciare lo spirito nazionale del nascente Regno d’Italia e classi dominanti legate a sistemi di potere tradizionali, ansiose di conservare il proprio ruolo in via di erosione. Nello scontro tra questi gruppi si sviluppano le dinamiche che vedono coinvolti i ceti popolari, con una atavica questione sociale irrisolta che resta sullo sfondo e che, di lì a qualche anno, si trasformerà nella questione meridionale.    

Il libro prova a dare anche una lettura della formazione della nuova élite del meridione, in grado di incarnare le caratteristiche della modernità politica, che fonde interessi, ambizione e consenso, tracciando la via dei processi successivi all’Unità nazionale. È un libro che, per la novità e la vastità dei materiali e dei documenti d’archivio usati, oltre che per le approfondite ricerche che lo sostengono, presenta una innovativa prospettiva sulla guerra al brigantaggio e sulle interpretazioni che, fino a oggi, vi erano state attribuite. Il volume, che si è aggiudicato numerosi premi di storia e saggistica, si compone di 512 pagine ed è edito da Laterza.