martedì 27 ottobre 2015

La Grande Guerra dei tribunali

Nel corso della Prima Guerra Mondiale il lavoro dei tribunali militari crebbe esponenzialmente in parallelo con il crescere della mobilitazione e degli uomini chiamati alle armi, una enorme massa di cittadini-soldati che si ritrovò a dover fare i conti con le rigide prescrizioni del Codice Penale Militare. 

Il codice in vigore, salvo talune integrazioni, era quello varato nel 1859 e prevedeva norme severe per garantire la disciplina nei reparti, prevedeva due principali livelli di giurisdizione:  quella dei Tribunali Militari di Guerra, costituiti su base territoriale in zona di operazioni oppure presso i comandi d'Armata, di Corpo d'Armata, di Piazzaforte o presso altri comandi minori, per un totale che supera le cento unità; in secondo luogo esistevano i Tribunali Straordinari, costituiti secondo necessità estemporanee, a norma dell’art. 559 del Codice Penale dell’Esercito, soprattutto nel territorio dichiarato in stato di guerra. Se i primi applicavano con maggiore attenzione le norme del codice, anche seguendo le procedure a tutela degli accusati, i secondi tendevano frequentemente ad ignorare i diritti dell'imputato, risolvendosi in molti casi in corti sommarie. Per far fronte alle crescenti necessità della giustizia di guerra, a partire dal 1916, al personale in servizio della Giustizia Militare furono affiancati molti magistrati ordinari che furono militarizzati con assimilazione al grado militare, furono inoltre distaccati ai servizi di giustizia gli ufficiali laureati in legge che fu possibile distogliere da altri incarichi. L'obiettivo principale era quello di conservare, l'ordine, la disciplina e lo spirito combattivo nelle truppe operanti, come chiarì il Generale Cadorna sin dalla prima circolare del 24 maggio 1915: "Il Comando Supremo vuole che, in ogni contingenza di luogo e di tempo, regni sovrana in tutto l’esercito una ferrea disciplina". Il timore di ammutinamenti collettivi, soprattutto dopo Caporetto, spinse all'estremo questo sistema repressivo, specialmente con l'emanazione di una vasta mole di circolari integrative al Codice Penale Militare che, ampliando la portata dell'art. 40 dello stesso che dava facoltà ai comandanti di reparto di reprimere con ogni mezzo una serie di reati, consentiva le esecuzioni senza processo, prescrivendo unicamente la successiva redazione di un verbale. Allo stesso modo era data facoltà agli ufficiali di ordinare sul posto esecuzioni sommarie di soldati ritenuti colpevoli di aver messo in pericolo la sicurezza o la disciplina del reparto oppure di aver arrecato danno alla condotta delle operazioni.  Rientrava tra tali pratiche anche l'istituto della decimazione, cioè la fucilazione di un individuo su dieci, scelto a caso tra gli effettivi del reparto che si era macchiato di insubordinazione, anche in questo caso dal comandante supremo Cadorna erano arrivate raccomandazione in tal senso nel novembre 1916: "Ricordo che non vi è altro mezzo idoneo a reprimere reato collettivo che quello della immediata fucilazione dei maggiori responsabili, allorché l'accertamento dei responsabili non è possibile, rimane il diritto e il dovere ai comandanti di estrarre a sorte tra gli indiziati alcuni militari e punirli con la pena di morte". 

Sulla sola fronte italiana, limitatamente nei confronti di militari già incorporati, si celebrarono circa 260.000 procedimenti penali che comportarono oltre 170.000 condanne. Oltre la metà di questi procedimenti, 162.000, erano relativi al reato di diserzione, di questi le sentenze di condanna furono all'incirca 100.000, emesse per fatti di diserzione o ritardato ritorno al reparto, che integravano i casi in cui i militari si erano allontanati volontariamente per sottrarsi al combattimento o, per i più svariati motivi, avevano posticipato il ritorno nei ranghi dopo un periodo di licenza. Circa 4.000 i processi che si conclusero con condanne a morte, delle quali 750 furono effettivamente eseguite.  I casi di esecuzione sommaria, documentati, assommano ad oltre 220. L'esecuzione si svolgeva al comando dell'ufficiale più alto in grado il quale, dopo aver ordinato ad un plotone di dodici soldati di presentare le armi, leggeva la sentenza e predisponeva il plotone a fare fuoco, al condannato, solitamente bendato, erano concessi gli conforti religiosi. La fucilazione al petto era riservata per i reati non considerati infamanti, per quelli consideranti "infamanti" era comminata la fucilazione alla schiena con ignominia, previa degradazione. Inoltre nel corso di tutta la durata del conflitto, in Italia, furono comminati in totale 15.000 ergastoli. Numerosissimi anche i civili che, residenti in zona di operazioni, furono giudicati dalle corti militari, soprattutto per i reati di spionaggio ed intendenza con il nemico, un conteggio approssimativo si aggira intorno ai 62.000 procedimenti penali cui vanno aggiunti gli oltre 1000 processi intentati contro prigionieri di guerra.

Ma i tribunali militari furono impegnati soprattutto a giudicare della renitenza alla leva per i ritardi o le mancate presentazioni a seguito della chiamata alle armi, soprattutto a carico di cittadini italiani residenti all'estero che in molti casi ignoravano del tutto l'avvenuto richiamo o addirittura si trovavano a servire negli eserciti dei paesi nei quali erano immigrati. Anche in questo caso le cifre sono eloquenti: circa 470.000 i procedimenti a carico di presunti renitenti alla chiamati, dei quali ben 370.000 a carico di italiani emigrati all'estero. Nello specifico i reati, compresi anche quelli minori che non comportavano la condanna a morte, erano relativi ai casi di furto, insubordinazione, automutilazione e autolesionismo, indisciplina, violenza, sbandamento e resa, reati sessuali di vario genere, abuso di potere e disfattismo. Nella quasi totalità dei casi che prevedevano una condanna a pena detentiva, entro il limite di sette anni di reclusione, era prevista la sospensione dell'esecutorietà della pena onde evitare problemi nella consistenza organica dei reparti, pertanto i soldati condannati continuavano regolarmente a servire in prima linea. Alla fine delle ostilità, dopo l'amnistia del 1919 che cancellò molte condanne militari, restarono circa 10.000 reclusi negli istituti militari di pena per scontare condanne lunghe o l'ergastolo. 

Da più parti negli ultimi mesi si richiede un provvedimento riparatorio che restituisca, almeno ai soldati ingiustamente fucilati, l'onore perduto, sulla scorta di quanto già fatto da altri paesi impegnati nel primo conflitto mondiale.


Fonte Dati: Civico Museo della Guerra per la Pace "Diego de Henriquez" - Trieste