mercoledì 10 novembre 2021

Cento anni del Milite (un po' meno) ignoto



Nell'anno del centenario della traslazione del Milite Ignoto al Vittoriano il paese ha vissuto un sussulto di memoria storica che lascia positivamente sorpresi. Anche per l'esigenza di ricercare edificanti ideali comuni nel difficile momento della pandemia, e nel tentativo di dare visibilità al clima di concordia politica che faticosamente si prova a puntellare, la commemorazione dell'Eroe ignoto ha assunto una vasta eco nazionale come mai era accaduto in precedenza, segno, in parte, di una maturata consapevolezza del passato comune, e, in parte, della florida vitalità del mito fondativo della Grande Guerra nell'identità nazionale.

Sin dall'inizio dell'anno, su impulso del Gruppo Medaglie d'Oro al Valor Militare d'Italia e di ASSOARMA, l'Associazione Nazionali dei Comuni Italiani ha lanciato l'iniziativa "Milite Ignoto, Cittadino d’Italia" con l'obbiettivo di conferire la cittadinanza onoraria di ogni comune italiano al Milite Ignoto, non solo un soldato caduto in guerra ma un "cittadino di ogni contrada", simbolo tangibile di tutti gli italiani, figura familiare e presente in  ogni piccola o grande comunità. Su quasi ottomila comuni italiani sono oltre 3000 quelli che già avevano aderito entro il 4 novembre, Giornata delle Forze Armate, e molti altri si aggiungeranno nei prossimi mesi, dal momento che il progetto della cittadinanza onoraria al Milite Ignoto, per ovviare alle difficoltà della pandemia, è stato prorogato fino al 2 giugno del 2022.

Il Ministero della Difesa, già impegnato dalla scorsa estate in eventi commemorativi, ha organizzato con Ferrovie dello Stato l’allestimento del Treno della Memoria, con un vagone scoperto che è stata la fedele riproduzione di quello adoperato nel 1921 per il trasporto del feretro da Aquileia a Roma, progettato all'epoca dall'architetto Guido Cirilli, i cui progetti originari sono stati ritrovati negli archivi dell'Accademia di Belle Arti di Venezia, di cui Cirilli era stato a lungo direttore. Dal 29 ottobre al 2 novembre il treno ha ripercorso il tragitto di cento anni fa, partendo dalla stazione di Cervignano Aquileia con una locomotiva a vapore e facendo tappa a Udine, Treviso e Venezia, ove è rimasto fino al 30 ottobre per poi partire alla volta di Bologna Centrale, per tutta la giornata del 31 ottobre ha sostato a Firenze ed il giorno successivo ad Arezzo, alle ore 9.00 del 2 novembre il convoglio è ripartito alla volta di Roma, accolto alla stazione di Roma Termini dalle massime autorità, come già accaduto nel '21. Il treno era composto da carrozze d'epoca a bordo delle quali è stata  allestita una mostra di fotografie e reperti storici, visitabile nelle stazioni maggiori, contornata da diversi eventi dedicati in alcune delle tappe.  

Anche la Rai ha voluto ricordare l'evento con l'immancabile fiction d'occasione, con l'intento di farne un'opera di richiamo per la divulgazione popolare, finanche con l'uso sperimentale di sequenze animate sulla voce narrante che provano ad attirare il pubblico più giovane lasciando qualche traccia di memoria. "La scelta di Maria" è andata in onda su RaiUno con risultati entusiasmanti. Sicuramente era buona l'intenzione ma si sarebbe potuto decisamente fare di meglio, soltanto Sonia Bergamasco giganteggia per interpretazione nel ruolo di Maria Bergamas, gli altri personaggi sono poco più che comparse parlanti, molto stereotipate e con qualche voluta omissione: nella narrazione, ad esempio, è scomparso Cesare De Vecchi, che pure nell'organizzazione dell'evento ebbe un ruolo di prim'ordine e che compare nei filmati d'epoca montati nella fiction, che sconta la damnatio memoriae d'essere stato uno dei quadrumviri della Marcia su Roma, mentre giganteggia il ministro Gasparatto, che fu integralmente antifascista. Pessimi i costumi, non si sono viste due uniformi uguali e, quelle che c'erano, tra colletti sbottonati, maniche lunghe e nastrini approssimativi, sembravano più in linea con una rappresentazione teatrale di provincia che con una produzione Rai di prima serata. Al di là dell'aura edulcorata e didascalica, tra il "volemose bene" e il sussidiario delle elementari, l'opera ha avuto almeno il merito di portare con facilità al grande pubblico una storia che diversamente sarebbe rimasta sepolta tra le polverose memorie della Grande Guerra.  

Il Milite Ignoto è stato l'emblema della nazione in armi, il simbolo visibile dell'unione tra popolo ed esercito, poichè nell'Eroe senza nome potessero riconoscersi tutte le famiglie che avessero avuto un caduto da piangere, egli è stato il padre che ritorna, il fratello che si credeva perduto, il figlio che la guerra aveva rapito, l'amato mai dimenticato. In esso l'Italia si riconobbe grande famiglia, cioè Nazione, che in unità aveva affrontato la più terribile delle prove e, dopo la vittoria, celebrava insieme i propri morti. A cento anni dalla nascita del mito, dopo troppi decenni di oblio, il Milite Ignoto torna ad essere memoria condivisa e patrimonio comune.  

domenica 26 settembre 2021

Intervista al Colonnello de Simone: “Vent'anni di missione internazionale hanno plasmato il futuro dell’Afghanistan"


Il Colonnello Valentino de Simone ha una lunga esperienza di Afghanistan, già comandante delle leggendarie Voloire, è stato una prima volta nel paese asiatico con ruoli operativi come Capo di Stato Maggiore della Brigata Alpina Taurinense, poi per oltre tre anni, dal 2015 al 2018, è stato Addetto per la Difesa dell’Ambasciata italiana a Kabul. Attualmente è a capo della Divisione Cooperazione Civile-Militare del Quartier Generale NATO di Napoli.

Ho condiviso con lui un confronto di ampio respiro sulle vicende afghane e sulle prospettive future di quello che fu il Paese degli aquiloni. 

In che modo era percepita la presenza occidentale dai civili?

La popolazione afghana è tradizionalmente molto ospitale. In particolare, gli italiani godevano di una palpabile stima, apprezzamento, simpatia da parte della popolazione locale. Per quanto possa sembrare lontano, l’Afghanistan ha molti punti di contatto culturali con i paesi mediterranei. Non si sono mai registrati atti di ostilità da parte della società civile afghana in tanti anni, il che è davvero gratificante.

de Simone tra i bambini di Kabul

 Negli ultimi anni quale è stata la situazione militare sul campo?

A partire dal 2014, le forze regolari afghane furono incaricate di provvedere autonomamente alla difesa del territorio contro la guerriglia senza quartiere condotta dai talebani e da ISIS-K, una versione locale dell’ISIS.

I regolari afghani, durante questi anni, sono stati equipaggiati ed addestrati dalla NATO e, con alterne vicende e qualche rovescio, sono riusciti a tenere sotto controllo il paese sebbene vi fossero intere regioni controllate dall’insorgenza talebana.

Le forze armate regolari di ogni paese del mondo trovano nelle istituzioni centrali e nel favore del popolo che difendono non solo la loro legittimazione morale, ma soprattutto spirituale. Da esso traggono la linfa più preziosa per un combattente, che vale più di mille cannoni: la motivazione. Con il ritiro delle forze della coalizione NATO dall’Afghanistan, il governo locale e il presidente hanno, fondamentalmente, cercato soltanto una via di fuga lasciando l’esercito afghano allo sbando. Una situazione che mi ha riportato alla mente la drammatica esperienza vissuta dall’esercito italiano l’otto settembre 1943.

Sin dal 2017 gli alpini avevano curato anche l'addestramento delle truppe da montagna dell'Esercito Afghano

Dal suo punto di osservazione, potevano dirsi giustificati gli ottimismi sulla tenuta in combattimento delle forze armate afghane?

Francamente, ottimismi non sono mai stati espressi. Piuttosto, preoccupazione e qualche incertezza. Certamente non ci si aspettava che il disfacimento del fronte interno avvenisse con tanta rapidità ma, a ben vedere, era plausibile. L’Afghanistan durante questi venti anni è stato, di fatto, un paese molto supportato e anche protetto dalla NATO, come lo è ad esempio il Kosovo sin dal 1999. Se un amico ed alleato forte è obbligato a lasciarti solo, le difficoltà possono essere insormontabili

 Il ruolo italiano nella formazione del personale afghano?

Gli italiani, assieme a tanti altri paese membri della NATO, ha svolto una lunghissima missione di “Training, Advising and Assisting” sia per le unità militari dell’esercito afghano sia per gli alti comandi ed i comandi operativi. L’Italia ha anche offerto molti pacchetti di corsi di specializzazione, su base annuale, che si sono svolti sia presso la nostra base ad Herat sia in Italia. In Italia abbiamo anche formato molti ufficiali dell’esercito e dell’aeronautica afghana presso le nostre Accademie Militari.

I talebani possono avere una effettiva capacità militare, anche utilizzando i materiali abbandonati dall’esercito?

I talebani non hanno le competenze né le capacità per reimpiegare i mezzi abbandonati nelle basi militari afghane. A parte le camionette blindate, che tutti possono praticamente guidare, non dispongono di piloti per i velivoli né di tecnici per gli apparati radio né di specialisti di artiglieria. Di sicuro possono riutilizzare l’armamento leggero rinvenuto o sequestrato ma questa circostanza è del tutto ininfluente e non può minimamente accrescere la loro capacità offensiva.

I talebani hanno preso il controllo anche di Camp Arena, per vent'anni base militare italiana a Herat
(foto tratta da InsideOver)

Quali crede che possano essere le evoluzioni della situazione nel medio periodo?

I talebani hanno trovato molti amici, nel ribaltamento del quadro geopolitico regionale. Alcuni amici li avevano già tra i paesi confinanti e vicini, tra i quali il Pakistan e l’Iran. Altri si sono fatti avanti con rinnovato slancio come la Russia e la Cina che - in pochi lo sanno - confina con l’Afghanistan, ricchissimo di minerali preziosi e rari come il Litio e il Talco, fondamentali per la fabbricazione di batterie e componenti elettrici.

Il governo talebano dovrà, nel medio periodo, occuparsi piuttosto del fronte interno dove un’intera generazione di afghani è ormai cresciuta con una visione della vita, delle opportunità, dei diritti del genere umano profondamente diversa da quella offerta dal modello fondamentalista.

Le manifestazioni, le proteste delle donne per le strade del paese erano inimmaginabili venti anni fa. Oggi invece esse, assieme ai giovani, sfidano a testa alta un’autorità che non usa mezze misure per reprimere. Queste sfide, queste lotte, queste battaglie del popolo afghano sono la testimonianza più palpabile del lavoro fatto dai paesi della Coalizione NATO, dall’ONU e dalle agenzie internazionali in questi venti anni. Anni che non sono stati “inutili” come qualcuno ha detto. Sono invece gli anni che hanno plasmato la generazione del futuro dell’Afghanistan.

 

martedì 31 agosto 2021

Il mito della battaglia rivive ad Anghiari


Dal mese di agosto e fino al prossimo 6 gennaio ad Anghiari, la città della celebre battaglia raffigurata da Leonardo da Vinci, sarà ospitata la mostra “La civiltà delle armi e le Corti del Rinascimento”, organizzata dal Comune di Anghiari e realizzata in collaborazione con le Gallerie degli Uffizi e la Fondazione Cassa di Risparmio di Firenzela terza delle esposizioni del programma Uffizi Diffusi. All'interno del Museo della Battaglia e di Anghiari è allestito un percorso espositivo che, attraverso prestiti significativi, documenta l'amore per la cultura che trasformò uomini d’armi, soldati e combattenti, in umanisti illuminati con la passione per l'arte, con l’obiettivo di raccontare le vicende, durante il Rinascimento, di una parte dei notabili del luogo, che oltre ad essere guerrieri e combattenti furono anche cortigiani eruditi e amanti della cultura.

Esemplare è la storia di Federico da  Montefeltro duca di Urbino, uomo d’arme a capo di una delle corti più raffinate del Rinascimento. In mostra è visibile il ritratto del duca appartenente alla famosa collezione gioviana degli Uffizi, commissionata nel Cinquecento da Cosimo I dei Medici a Cristofano dell’Altissimo, con il particolare del profilo mozzato, come nel celebre dittico di Piero della Francesca di un secolo precedente.


Al tempo la città di Anghiari forniva uomini d’arme fedeli a vari eserciti delle Signorie italiane, la cui nobiltà era spesso imparentata con quella della cittadina toscana. Il mestiere delle armi era appannaggio di classi sociali elevate, con forti interessi culturali e una potente sensibilità nei confronti dell'arte. Il nome dello splendido borgo di Anghiari, nella Val Tiberina, quasi all'estrema propaggine orientale della Toscana, risuona nel mito della celebre battaglia combattuta il 29 giugno 1440 tra le truppe milanesi dei Visconti e la vittoriosa coalizione guidata dalla Repubblica fiorentina, insieme a Venezia e allo stato Pontificio. La stessa battaglia che Leonardo, fra il 1504 e 1505, fu chiamato a rievocare nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze, in una singolar tenzone artistica con la “Battaglia di Cascina” del giovane rivale Michelangelo. Quella vittoria, così importante per le contese territoriali tra le diverse signorie e fondamentale per determinare gli assetti politici dell’Italia di allora, segnò il destino della città condizionandone in profondità il tessuto sociale. 


L'evento di presentazione della mostra si è svolto il 30 agosto con una conferenza nella suggestiva piazza Mameli al centro del borgo antico di Anghiari, trasmessa in diretta anche sui canali social, con l'intervento del sindaco della cittadina, Alessandro Polcri, del direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, del direttore Fondazione CR Firenze, Gabriele Gori, del direttore del Museo della Battaglia, Gabriele Mazzi, del prof. Francesco Storti, dell'Università di Napoli, di Don Alessandro Bivignani, parroco di Anghiari, e di alcuni dei partner del progetto: Fabio Pecorari, direttore Banca Anghiari e Stia Credito Cooperativo, Livio Sassolini, amministratore della Tessitura Busatti, Aldo Santi, della società Lightprogress, oltre alla partecipazione di numerosi studiosi provenienti da tutta Italia.

Studi storici recenti sulle famiglie illustri di Anghiari hanno evidenziato sodalizi e legami di parentela con importanti casate, in particolare i Montefeltro di Urbino, immortalati nel celeberrimo doppio ritratto di Federico da Montefeltro e della moglie Battista Sforza realizzato da Piero della Francesca, giunto a Firenze nel Seicento con l’eredità di Vittoria della Rovere ed oggi agli Uffizi. Il duca di Montefeltro sarà protagonista anche della mostra anghiarese, dove è esposto il suo ritratto appartenente alla famosa collezione gioviana degli Uffizi, commissionata nel Cinquecento da Cosimo I dei Medici a Cristofano dell’Altissimo debitore: a distanza di più di un secolo l’opera ancora è ispirata al celebre dipinto di Piero della Francesca. In mostra saranno esposti due tabernacoli lignei quattrocenteschi, che questi personaggi utilizzavano per la loro devozione privata presso le loro dimore, o nelle cappelle di famiglia nelle chiese: anche i soldati e i condottieri avevano la necessità di pregare e invocare la protezione divina. E, sempre a proposito di armi e battaglie, sono stati inviati dagli Uffizi anche il ritratto di uomo in armatura di scuola francese cinquecentesca e due tele con “Scene di Battaglia” del pittore Jacques Curtois detto il Borgognone, specialista di questi soggetti, poste in dialogo con la nota incisione di Gérard Edelinck dalla copia di Rubens dal perduto cartone di Leonardo per la Battaglia di Anghiari.



venerdì 14 maggio 2021

Premiata la Sanità militare per l'emergenza Covid


Durante le celebrazioni per il 160° anniversario della costituzione dell'Esercito Italiano, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha consegnato la Croce d'Oro al Merito dell'Esercito alla bandiera di guerra del Corpo Sanitario dell'Esercito, segno tangibile dell'alto apprezzamento che gli uomini e le donne della sanità con le stellette hanno meritato per l'impegno durante le fasi più dure dell'emergenza Covid-19.

Nell'ultimo difficile anno di pandemia il Corpo Sanitario dell'Esercito ha dimostrato, ancora una volta, di essere una risorsa preziosa al servizio del paese: circa 3500 i posti letto aggiuntivi creati in tutta Italia, decine i sanitari inviati nelle realtà ospedaliere per alleggerire il carico lavoro di medici ed infermieri civili, specie in Lombardia nella primavera del 2020, 2 ospedali da campo speciali allestiti a Piacenza e Crema, nella seconda fase ulteriori ospedali da campo sono stati approntati a Barletta, Cosenza, Perugia e Aosta. Inoltre sono stati messi a disposizione il Policlinico Militare del Celio a Roma ed Centro Sanitario Militare di Milano, trasformati in Covid hospital, il primo con 150 posti letto, il secondo con 50 posti dedicati. Il dipartimento scientifico del Celio ha contribuito anche alla ricerca per il contrasto alla diffusione del virus, lavorando al sequenziamento del Sar-Cov-2 già dal febbraio 2020 sul paziente 1 di Codogno ed identificando, nel dicembre scorso, il genoma della variante inglese, ha inoltre sviluppato anche un test salivare rapido per favorire lo screening di massa. Il Centro Sanitario di Milano-Baggio ha messo a disposizione 200 medici e 400 infermieri, oltre ad altro personale di assistenza, nelle varie ondate della pandemia, ricoverando centinaia di pazienti e partecipando dalla fine del 2020 allo screening con tamponi drive through. Per raggiungere anche i presidi sanitari più remoti, molti dei quali svuotati dalla diffusione del virus, sono stati inviati in tutto il paese oltre 250 sanitari con le stellette e massiccia è negli ultimi mesi anche la partecipazione alla campagna vaccinale. Il Policlinico militare ha allestito nella cittadella della Cecchignola a Roma il primo hub vaccinale da 2500 somministrazioni al giorno, il Centro Ospedaliero di Milano ha contribuito alla realizzazione ed al funzionamento di un nuovo padiglione in grado di effettuare fino a 10000 somministrazioni giornaliere, a Caserta la Brigata Bersaglieri "Garibaldi" ha allestito il più grande hub vaccini della Campania, arrivando in meno di due mesi a superare le 100000 dosi inoculate. A guidare la Sanità dell'Esercito nella difficile fase dell'emergenza è stato dapprima il generale Antonio Battistini, cui è subentrato lo scorso marzo il generale Massimo Barozzi. 

Un impegno costante che ha visto i sanitari militari in prima linea, a sostegno della popolazione civile ed a supporto delle attività del governo, impiegati in tutti gli ambiti nei quali la loro opera si è rivelata utilissima e contraddistinta, oltre che da una elevata preparazione, anche da grande abnegazione e senso di umanità.


La Croce d'Oro al Merito dell'Esercito al Corpo Sanitario è stata concessa con questa motivazione: 

"Il Corpo Sanitario dell’Esercito, al culmine di una gravissima emergenza epidemiologica, prodigava, con straordinaria dedizione, la sua azione di soccorso alla popolazione anche nella complessa e capillare opera di somministrazione dei vaccini, profondendo ogni energia in una formidabile opera di sostegno all’intero Paese, prostrato dalla pandemia. Il personale del corpo operava con mirabile senso del dovere, silenziosa abnegazione, accrescendo il lustro dell’Esercito al cospetto dalla Nazione."

mercoledì 21 aprile 2021

Napoleone e il mito della Guardia Imperiale

E' in arrivo nelle librerie in questi giorni l'ultima opera del giornalista Sergio Valzania, proprio nell'anno del duecentesimo anniversario della morte di Napoleone, che racconta uno dei miti dell'epopea militare del grande còrso: la Garde Impériale. In un agevole volume di 276 pagine, "Napoleone e la Guardia Imperiale", nella collana Le Scie Mondadori,  si ripercorrono le vicende dei soldati scelti delle armate napoleoniche che seguirono l'imperatore sin da quando era comandante dell'esercito rivoluzionario durante la campagna d'Italia del 1796-1797 fino a Waterloo. I grognards, i "brontoloni" come furono soprannominati dallo stesso Napoleone, costituirono l'esempio più fortunato e simbolico della costruzione della struttura militare che fu l'ossatura dell'epoca napoleonica, un reparto dall'elevata capacità combattiva e dal morale elevato che, nel corso di un decennio, divenne un vero e proprio piccolo esercito parallelo alla Grande Armée.

La nascita della sua guardia personale precedette la stessa ascesa imperiale di Napoleone, fu il frutto di decisione presa durante la campagna d'Italia, quando una casuale ed estemporanea sortita di un manipolo di soldati austriaci per poco non si trovò a far prigioniero il generale Bonaparte che riposava lontano dalle linee francesi. Da allora questa schiera di truppe fidatissime, divenuta dapprima Guardia Consolare e, dal 1804, Guardia Imperiale, seguì Napoleone in tutte le campagne e divenne il simbolo visibile del suo genio militare, anche perchè quando intervenne nel vivo della battaglia la Guardia risultò sempre decisiva: a Marengo, ad Austerlitz, a Eylau. Napoleone tentò sempre di risparmiare la Guardia, impiegandola sul campo solo quando fosse assolutamente necessario, era consapevole di quanto fossero preziosi i suoi uomini più fidati. Gli ufficiali della Guardia divennero alcuni tra i più noti comandanti del periodo napoleonico, come Murat, Lepic e Cambronne, molti di essi ottennero, già da giovani, il bastone di Maresciallo di Francia. Anche nell'ultima, sfortunata, battaglia di Waterloo la Guardia era presente e fece fino in fondo il suo dovere, proteggendo l'imperatore dal tentativo di accerchiamento e scortandolo lontano dal campo di battaglia fino a Parigi.   

Valzania, giornalista con il pallino della storia e studioso di comunicazione, riepiloga tutte le tappe di un percorso di eroismo ed abilità militare che ha costituito uno degli elementi più significativi e simbolici del periodo napoleonico, a cui diedero accenti quasi leggendari, testimoniando l'intenso rapporto che, anche l'imperatore Bonaparte come molti personaggi eminenti e solitari della storia, ebbero con i loro soldati fino ad indentificarsi con essi.