domenica 27 dicembre 2015

Orione 1943


Roberto Serra è un fisiologo, un professore universitario in pensione, ma è anche l'ultimo pilota vivente dei leggendari Siluri a Lenta Corsa, gli SLC meglio noti come "maiali", i siluri esplosivi che erano condotti dal pilota fin sotto l'obiettivo da colpire. Classe 1922, durante la seconda guerra mondiale era soldato della Regia Marina, assegnato alla Decima Flottiglia MAS, era di stanza a La Spezia quando l'8 settembre 1943 fu reso noto l'armistizio, da allora cominciarono per lui 20 mesi di militanza nella Repubblica Sociale Italiana, agli ordini del Comandante Junio Valerio Borghese che si era rifiutato di accettare l'onta dell'armistizio decidendo di continuare autonomamente la guerra contro gli anglo-americani con i propri uomini. L'esperienza di quegli anni è condensata nelle oltre quattrocento pagine del libro "Orione 1943. L'ultima missione della Decima Flottiglia Mas", una cronaca dettagliata e appassionata degli avvenimenti vissuti in guerra nelle basi navali del nord Italia, tra La Spezia e Genova, da Arona a Portofino, fino a Salò. Emergono con chiarezza gli aspetti tecnici, i dettagli militari, gli aspetti umani della vicenda, ma anche lo slancio ideale, il senso del dovere e dell'onore e l'altissima caratura morale di una generazione di italiani che, con coraggio e lucidità, compì una scelta di campo e di vita.

Primo protagonista delle vicende narrate è il sentimento di amicizia e cameratismo che lega i giovani uomini della squadriglia Orione, da cui il romanzo trae il titolo, che conservano insieme la memoria delle gesta del recente passato bellico e che affrontano insieme le rischiose missioni nelle quali sono coinvolti. Un gruppo di giovani che, senza retorica, affronta la guerra con alto senso dell'onore rispetto per l'avversario, animato da un incondizionato amor di patria. Numerose sono poi le digressioni in cui si raccontano le imprese gloriose degli eroi della Decima, autentica leggenda italiana del secondo conflitto mondiale. Il testo, di 436 pagine, è stato pubblicato nel 2014 dalla Artestampa Edizioni. 

mercoledì 9 dicembre 2015

L'UNUCI si candida a divenire Forza di Cultura


L'esigenza della tutela del patrimonio culturale nel contesto dei conflitti armati da sempre ha preoccupato gli Stati ed esempio ne sono le numerose regolamentazioni storiche, tra cui quelle dei diritti dell'Aja e di Ginevra, già sviluppati alla fine del XIX secolo. La volontà di regolare questa materia è poi continuata con la Convenzione del 1954 e con i due Protocolli ad essa associati, non fermandosi e giungendo sino ad oggi con la promozione, da parte del Ministero della Difesa, del progetto "Caschi blu della cultura". La volontà alla quale si assiste è dunque la stessa dei secoli passati: tutelare il patrimonio artistico-culturale e, per consentire ciò, tendere sempre più alla formazione ultraspecialistica di militari idonei ad essere impiegati nella tutela e conservazione dei beni culturali nei conflitti armati.

In questo contesto potrebbe trovare applicazione l'Unione Nazionale degli Ufficiali in Congedo d'Italia: una nutrita associazione, oggi di diritto privata ma sino al 2013 dotata di natura pubblica, composta quasi interamente da militari, prevalentemente in congedo ma comunque reimpiegabili, che nel corso degli anni da "civili" si sono perfezionati nel loro campo (avvocati, ingegneri, architetti, medici, ecc.) maturando anche significative esperienze che rappresentano alte risorse che sarebbe irragionevole non sfruttare.
Nel quadro della contingente crisi economica e della sempre minor attenzione alle spese nel settore della Difesa, la creazione di una Cultural Special Force formata da quei militari dell'UNUCI che intenderebbero aderirvi sarebbe senza dubbio, almeno a parere dello scrivente, ottimale: significherebbe sfruttare al meglio le competenze di soggetti che, con l'onore dell'utilizzo della propria uniforme, sarebbero impiegati come volontari (quindi a costi più che contenuti) e senza la necessità di creare un Corpo Militare autonomo essendo comunque, ogni socio, inquadrato in uno specifico contesto (commissariato, fanteria, cavalleria, genio, ecc.).

La stessa Associazione, tra i propri fini, comprende la promozione dei valori di difesa e sicurezza della Patria - e certamente la tutela del patrimonio storico-culturale rientra pienamente nell'assett della Difesa - rafforzando i vincoli di solidarietà tra il mondo militare e la società civile, non solo, si impegna anche nel fornire il proprio apporto negli interventi di difesa e protezione civile, e promuove l'elevazione e la qualificazione culturale e professionale, nonché la formazione continua superiore dei propri membri, che potrebbero dunque essere destinatari di corsi specialistici organizzati dalle varie strutture capillari dell'UNUCI Un quadro statutario che quindi non avrebbe nulla di ostativo - anzi sembra quasi contenga un'impulso - verso la creazione di un'equipe di civili volontari, con chiare ed affermate competenze in campo militare, volto alla tutela del nostro patrimonio artistico e culturale. Una sorta di Croce Rossa dei Beni Culturali che quindi, anziché avere una dedizione di Corpo sanitario rivolto agli umani, la avrebbe con riferimento alle tracce storiche della nostra civiltà. Una tutela che non dovrà fermarsi alle condizioni di conflitto armato ma che dovrà estendersi anche ai casi di pericolo o calamità (si pensi alle necessità che si potrebbero avere nell'antisciacallaggio).

La creazione di questa C.S.F.- UNUCI non solo rappresenterebbe un quid pluris per il nostro Paese ma ci farebbe essere pionieri alla luce del mondo di una Forza specializzata e volontaria che mira alla conservazione delle nostre radici storiche. Non possiamo dunque che auspicare ad un contatto tra il Ministero della Difesa e la Presidenza Nazionale dell'Unione Nazionale degli Ufficiali in Congedo d'Italia per procedere in tal senso.

Nicolò Giordana

tratto da www.difesaonline.it 

martedì 27 ottobre 2015

La Grande Guerra dei tribunali

Nel corso della Prima Guerra Mondiale il lavoro dei tribunali militari crebbe esponenzialmente in parallelo con il crescere della mobilitazione e degli uomini chiamati alle armi, una enorme massa di cittadini-soldati che si ritrovò a dover fare i conti con le rigide prescrizioni del Codice Penale Militare. 

Il codice in vigore, salvo talune integrazioni, era quello varato nel 1859 e prevedeva norme severe per garantire la disciplina nei reparti, prevedeva due principali livelli di giurisdizione:  quella dei Tribunali Militari di Guerra, costituiti su base territoriale in zona di operazioni oppure presso i comandi d'Armata, di Corpo d'Armata, di Piazzaforte o presso altri comandi minori, per un totale che supera le cento unità; in secondo luogo esistevano i Tribunali Straordinari, costituiti secondo necessità estemporanee, a norma dell’art. 559 del Codice Penale dell’Esercito, soprattutto nel territorio dichiarato in stato di guerra. Se i primi applicavano con maggiore attenzione le norme del codice, anche seguendo le procedure a tutela degli accusati, i secondi tendevano frequentemente ad ignorare i diritti dell'imputato, risolvendosi in molti casi in corti sommarie. Per far fronte alle crescenti necessità della giustizia di guerra, a partire dal 1916, al personale in servizio della Giustizia Militare furono affiancati molti magistrati ordinari che furono militarizzati con assimilazione al grado militare, furono inoltre distaccati ai servizi di giustizia gli ufficiali laureati in legge che fu possibile distogliere da altri incarichi. L'obiettivo principale era quello di conservare, l'ordine, la disciplina e lo spirito combattivo nelle truppe operanti, come chiarì il Generale Cadorna sin dalla prima circolare del 24 maggio 1915: "Il Comando Supremo vuole che, in ogni contingenza di luogo e di tempo, regni sovrana in tutto l’esercito una ferrea disciplina". Il timore di ammutinamenti collettivi, soprattutto dopo Caporetto, spinse all'estremo questo sistema repressivo, specialmente con l'emanazione di una vasta mole di circolari integrative al Codice Penale Militare che, ampliando la portata dell'art. 40 dello stesso che dava facoltà ai comandanti di reparto di reprimere con ogni mezzo una serie di reati, consentiva le esecuzioni senza processo, prescrivendo unicamente la successiva redazione di un verbale. Allo stesso modo era data facoltà agli ufficiali di ordinare sul posto esecuzioni sommarie di soldati ritenuti colpevoli di aver messo in pericolo la sicurezza o la disciplina del reparto oppure di aver arrecato danno alla condotta delle operazioni.  Rientrava tra tali pratiche anche l'istituto della decimazione, cioè la fucilazione di un individuo su dieci, scelto a caso tra gli effettivi del reparto che si era macchiato di insubordinazione, anche in questo caso dal comandante supremo Cadorna erano arrivate raccomandazione in tal senso nel novembre 1916: "Ricordo che non vi è altro mezzo idoneo a reprimere reato collettivo che quello della immediata fucilazione dei maggiori responsabili, allorché l'accertamento dei responsabili non è possibile, rimane il diritto e il dovere ai comandanti di estrarre a sorte tra gli indiziati alcuni militari e punirli con la pena di morte". 

Sulla sola fronte italiana, limitatamente nei confronti di militari già incorporati, si celebrarono circa 260.000 procedimenti penali che comportarono oltre 170.000 condanne. Oltre la metà di questi procedimenti, 162.000, erano relativi al reato di diserzione, di questi le sentenze di condanna furono all'incirca 100.000, emesse per fatti di diserzione o ritardato ritorno al reparto, che integravano i casi in cui i militari si erano allontanati volontariamente per sottrarsi al combattimento o, per i più svariati motivi, avevano posticipato il ritorno nei ranghi dopo un periodo di licenza. Circa 4.000 i processi che si conclusero con condanne a morte, delle quali 750 furono effettivamente eseguite.  I casi di esecuzione sommaria, documentati, assommano ad oltre 220. L'esecuzione si svolgeva al comando dell'ufficiale più alto in grado il quale, dopo aver ordinato ad un plotone di dodici soldati di presentare le armi, leggeva la sentenza e predisponeva il plotone a fare fuoco, al condannato, solitamente bendato, erano concessi gli conforti religiosi. La fucilazione al petto era riservata per i reati non considerati infamanti, per quelli consideranti "infamanti" era comminata la fucilazione alla schiena con ignominia, previa degradazione. Inoltre nel corso di tutta la durata del conflitto, in Italia, furono comminati in totale 15.000 ergastoli. Numerosissimi anche i civili che, residenti in zona di operazioni, furono giudicati dalle corti militari, soprattutto per i reati di spionaggio ed intendenza con il nemico, un conteggio approssimativo si aggira intorno ai 62.000 procedimenti penali cui vanno aggiunti gli oltre 1000 processi intentati contro prigionieri di guerra.

Ma i tribunali militari furono impegnati soprattutto a giudicare della renitenza alla leva per i ritardi o le mancate presentazioni a seguito della chiamata alle armi, soprattutto a carico di cittadini italiani residenti all'estero che in molti casi ignoravano del tutto l'avvenuto richiamo o addirittura si trovavano a servire negli eserciti dei paesi nei quali erano immigrati. Anche in questo caso le cifre sono eloquenti: circa 470.000 i procedimenti a carico di presunti renitenti alla chiamati, dei quali ben 370.000 a carico di italiani emigrati all'estero. Nello specifico i reati, compresi anche quelli minori che non comportavano la condanna a morte, erano relativi ai casi di furto, insubordinazione, automutilazione e autolesionismo, indisciplina, violenza, sbandamento e resa, reati sessuali di vario genere, abuso di potere e disfattismo. Nella quasi totalità dei casi che prevedevano una condanna a pena detentiva, entro il limite di sette anni di reclusione, era prevista la sospensione dell'esecutorietà della pena onde evitare problemi nella consistenza organica dei reparti, pertanto i soldati condannati continuavano regolarmente a servire in prima linea. Alla fine delle ostilità, dopo l'amnistia del 1919 che cancellò molte condanne militari, restarono circa 10.000 reclusi negli istituti militari di pena per scontare condanne lunghe o l'ergastolo. 

Da più parti negli ultimi mesi si richiede un provvedimento riparatorio che restituisca, almeno ai soldati ingiustamente fucilati, l'onore perduto, sulla scorta di quanto già fatto da altri paesi impegnati nel primo conflitto mondiale.


Fonte Dati: Civico Museo della Guerra per la Pace "Diego de Henriquez" - Trieste


domenica 20 settembre 2015

Reem Hassan, l'eroina ignorata


Negli ultimi giorni di agosto, in Siria, è caduta in combattimento Reem Hassan, giovane donna volontaria nelle forze armate siriane. La giovane, col grado di Tenente, è caduta nella zona di Al-Ghab, una piana nel nord del paese nel distretto di Aleppo, durante i combattimenti contro forze ribelli nei dintorni del centro di Jatal Ziyarah. Reem Hassan aveva poco più di vent'anni, alle spalle una laurea in letteratura ed un master il lingua inglese, era anche una promessa della Tv siriana per la quale è stata presentatrice per diverso tempo prima di arruolarsi nei reparti femminili delle Forze di Difesa Nazionale, una milizia popolare formata su base volontaria con la supervisione di istruttori iraniani. Aveva deciso di abbandonare la sua vita precedente per imbracciare le armi a difesa del proprio paese contro la marea terrorista, guadagnandosi sul campo i gradi di ufficiale fino all'epilogo nel quale ha versato il proprio tributo di sangue per la patria siriana, così come molte sue commilitoni. 

Sui media occidentali la notizia della sua morte non ha trovato spazio, è troppo fuori dagli schemi del politicamente corretto che impedisce di riconoscere dignità e meriti al governo legittimo Bashar al Assad ed ai suoi combattenti. Semmai possono far notizia le combattenti curde, unte dal crisma del femminismo e della minoranza oppressa in un 'ottica di rinascita democratica, ma non certo le volontarie in armi lealiste. Il sacrificio della giovane Reem, che ha preferito scegliere il combattimento ad una egoistica fuga verso i paesi occidentali, corresponsabili del disastro siriano, resta come monito al popolo siriano e al mondo. 

mercoledì 29 luglio 2015

Guernica: la vera storia di un falso clamoroso


L'episodio divenuto il simbolo della Guerra Civile Spagnola è senza dubbio il bombardamento condotto nel 1937 dalla Legione Condor tedesca sulla cittadina basca di Guernica, immortalato da Picasso in un'opera divenuta il manifesto della brutalità della guerra. Ma è risaputo che nelle guerre la prima vittima è sempre la verità, e intorno all'episodio di Guernica si è sviluppato un mito che ben poco fondamento storico possiede in realtà. Secondo la vulgata più diffusa le forze aeree tedesche, alleate del governo insurrezionale nazionalista, avrebbero bombardato una cittadina priva di rilevanza militare come Guernica al solo scopo di testare nuove tecniche di bombardamento a tappeto e di incutere terrore alla popolazione civile, sarebbe stato scelto volutamente il giorno 26 aprile poiché, essendo un lunedì, era giornata di mercato, portando il totale delle vittime ad oltre 1600 morti più almeno 800 feriti. I fatti furono raccontati al mondo intero soprattutto dai corrispondenti di guerra stranieri, primi fra tutti gli inglesi Noel Monks, Christopher Holme e George Steer, senza che però nessuno di essi si fosse effettivamente recato sul posto, i giornalisti infatti si limitarono a risiedere a Bilbao raccogliendo le testimonianze provenienti dal fronte e dalle zone interessate dai bombardamenti. L'impressione suscitata fu enorme, il governo repubblicano si affrettò a denunciare l'accaduto come una immane strage di civili, intendendo sfruttare i fatti a fini propagandistici, fu commissionato a Picasso il dipinto che poi rese perennemente celebri gli eventi di Guernica. Quali furono in realtà tali eventi? Furono molto diversi dalla versione ufficiale.


Guernica infatti era una città di elevata importanza militare: si trovava a soli venti chilometri dal fronte, era difesa da tre battaglioni di forze regolari, con circa 2000 uomini acquartierati in città, era dotata di un importante nodo ferroviario che si collegava alla rete stradale che comprendeva anche il ponte di Renterìa, uno dei punti di passaggio vitali sul fiume Oca che proprio in quei giorni era stato attraversato dalla 2ª e dalla 4ª Brigata internazionale in ritirata dal fronte nord. In città vi erano inoltre due importanti fabbriche d'armi, la Unceta y Compania che produceva armi leggere, e la Talleres, specializzata in bombe da aereo.  La popolazione residente era di circa 4000 abitanti, ma l'avanzata del fronte aveva provocato lo sfollamento di buona parte dei residenti, inoltre, proprio per timore dei bombardamenti, il mercato settimanale era stato sospeso e non si tenne in quel 26 aprile, era stata rapidamente approntata la costruzione di sette ricoveri ed erano state installate diverse postazioni di mitragliatrici antiaeree. Dal giorno 25 la cittadina si ritrovò ad essere direttamente sulla linea del fronte, poiché il governo basco, nella impossibilità di respingere le colonne nazionaliste provenienti dalla Navarra, aveva ordinato una disperata difesa di Bilbao sulla linea Guernica-Amorrabieta-Gorbea, sperando di ritardare le forze franchiste nell'attesa di un aiuto da parte del governo centrale, che non arrivò. L'aviazione nazionalista, formata da tedeschi e italiani, entrò in azione nel pomeriggio del 26 per tagliare la via della ritirata ai reparti repubblicani che tentavano di guadare l'Oca: alle 16.15 una pattuglia di velivoli tedeschi sganciò un carico di circa due tonnellate di bombe sugli obbiettivi previsti che, stando ai piani di volo ed ai rapporti di missione, comprendevano il ponte di Renterìa, la stazione ferroviaria e le due fabbriche d'armi, i danni furono tuttavia limitati. Intorno alle 16.30 una seconda incursione sul ponte fu effettuata da tre bombardieri S.79M italiani, la struttura fu solo lievemente danneggiata, è significativo notare che le disposizioni impartite dal Colonnello Raffaelli, consultabili presso gli archivi dell'Aeronautica Militare, prevedevano esplicitamente che "Per evidenti ragioni politiche, il paese non deve essere bombardato". L'attacco più massiccio si verificò alle 18.30, fu condotto da 18 bombardieri Junkers52 tedeschi della Legione Condor, al comando dei capitani von Knauer, von Beust e von Kraft, scortati da una quindicina di caccia italiani Fiat CR.32, ebbe ancora come obbiettivo il ponte di Renterìa e le strade circostanti. In questa occasione furono sganciate 39 bombe da 250 chilogrammi ciascuna, delle quali, secondo i rapporti di missione, 7 caddero all'interno dell'abitato. Le bombe erano in gran parte incendiarie e nelle prime incursioni erano stati usati spezzoni incendiari facendo avvampare diversi focolai intorno alla città che subì danni limitati, non a caso il centro cittadino, comprendente il Palazzo dell'Assemblea Basca e la piazza del Gernikako Arbola, l'albero della libertà dei popoli baschi, rimase indenne. Le vittime furono 93, cui vanno aggiunte alcune decine di morti nei dintorni della città, per totale non superiore ai 130 caduti e circa un centinaio di feriti. 


E' molto probabile che la devastazione della città, come già indicato dal governo franchista subito dopo la Guerra Civile, sia stata dovuta ai forti venti che spinsero le fiamme dalla periferia verso il centro cittadino e soprattutto alle distruzioni operate dai reparti repubblicani che minarono parte degli edifici per fare terra bruciata innanzi all'avanzata dei nazionalisti, che occuparono la città il giorno 28 aprile. L'emozione suscitata dal bombardamento fu abilmente sfruttata dal governo repubblicano per mascherare la totale disfatta del fronte nord, con la situazione altamente critica che si stava venendo a determinare sul famigerato Cinturòn de Hierro, la linea difensiva eretta intorno alla capitale basca Bilbao, che era sotto un costante attacco nazionalista e che cadde poco più di un mese dopo i fatti di Guernica. La mossa propagandistica fu abile, coinvolgendo anche Pablo Picasso che contribuì al mito della devastazione della città martire. Il pittore in realtà, benché si fosse da subito detto stravolto dalla notizia del bombardamento, era piuttosto sensibile al denaro ed alla fama e seppe sfruttare ampiamente la situazione "riciclando" un suo precedente dipinto, "In morte del torero Jocelito", dedicato ad un toreador morto nell'arena con il proprio cavallo attaccato dal toro durante una corrida. All'opera furono aggiunti un paio di dettagli, come la madre piangente col bambino, e fu rifilata al governo spagnolo per la, non certo modica, cifra di 300.000 pesetas, e fu diffusa in tutto il mondo facendo esplodere definitivamente la fama del pittore. Ancora oggi, malgrado vari studi negli anni abbiano smentito la versione ufficiale di parte antifranchista, la storia del bombardamento di Guernica è raccontata con toni drammatici e truculenti che offendono la memoria dei morti veri e distorcono la verità dei fatti storici.

domenica 24 maggio 2015

24 maggio, Centenario Grande Guerra


24 maggio 2015, Centenario dell'ingresso dell'Italia nella Prima Guerra Mondiale. A cento anni dall'inizio di quella che fu la Quarta Guerra per l'Indipendenza Nazionale un orgoglioso e deferente pensiero di commemorazione va rivolto ai caduti di quell'immane conflitto, che gettò le basi dell'Europa moderna e completò la fisionomia nazionale degli italiani. 

martedì 24 marzo 2015

La Forestale in guerra

 
 
Nella sua storia ultracentenaria il Corpo Forestale dello Stato ha conosciuto anche il turbine della guerra, combattuta sul campo, in prima linea, offrendo prove di assoluto coraggio e meritando un numero elevatissimo di decorazioni al Valor Militare.
 
Durante la guerra d'Etiopia, nell'ottobre 1935, dai ranghi della Milizia Forestale fu mobilitata la Coorte Forestale Speciale, destinata ad operare al fianco dei reparti impegnati in Africa orientale, al comando della Coorte vi era il Luogotenente Generale Augusto Agostini, già mutilato della Grande Guerra, che assunse anche il comando di un'intera colonna mobile, composta, oltre che dai forestali, dal 4° Reggimento Fanteria, dal XIV Battaglione Mitraglieri Arabo-Somalo, da reparti artiglieria e lanciafiamme, da tre Sezioni Autoblindo e varie Bande Dubat. L'intero raggruppamento assunse il nome di Colonna Celere "Agostini". La Colonna, schierata dal mese di dicembre in Somalia nel settore tra Dolo e Unsi, fu impegnata nelle prime fasi all'approntamento di fortificazioni difensive in previsione di un attacco da parte dell'esercito di Ras Destà, ricevendo il plauso del Generale Rodolfo Graziani, comandante del fronte sud. Fu proprio Graziani ad ordinare l'impiego della Coorte Forestale, rinforzata dai Dubat e dai reparti autoblindo, per una avanzata su Saidei che iniziò il 12 gennaio '36, con l'obiettivo di intercettare Ras Destà. Saidei fu occupata alle prime luci del 15 gennaio e le Camicie Nere forestali si lanciarono all'inseguimento dei reparti abissini in ritirata riuscendo a catturare, dopo aspri combattimenti, il sultano di Digodia. Il 23 gennaio i forestali occuparono Malga Libai dopo una furibonda lotta condotta, anche all'arma bianca, durata per oltre una settimana nel corso dell'avanzata di Graziani su Neghelli, proseguendo poi nella realizzazione di opere fortificate lungo il corso del Daua Parma. A fine marzo la Coorte Forestale fu rischierata sul fronte dell'Ogaden sempre al comando del Generale Agostini, in questa fase, riunita in una colonna con oltre tremila Dubat, un Battaglione Carabinieri e rinforzata dall'artiglieria, la formazione di Camicie Nere Forestali affrontò una lunga risalita per oltre 300 chilometri da Gunu Gadu a Dagabur, che fu raggiunta soltanto il 30 aprile al termine di combattimenti intensissimi e sanguinosi contro forze etiope ben trincerate. Dal mese di aprile la Coorte era stata intanto rinforzata dal Battaglione Universitario "Curtatone e Montanara", con questa formazione la Colonna Agostini giunse il 6 maggio a Giggigia e, dopo aver occupato Harrar, si attestò nell'abitato di Dire Daua il giorno 9 maggio, data delle conclusione della campagna.   
 
La Coorte Forestale ebbe sul fronte africano 9 caduti, tra ufficiali, sott'ufficiali e militi e 64 feriti, il gagliardetto della Coorte fu decorato della Croce di Cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia e di una Medaglia d'Argento al Valor Militare, il comandante Augusto Agostini fu ugualmente insignito dell'Ordine Militare di Savoia e di una Medaglia d'Argento. Ai militi furono assegnate nel complesso 44 decorazioni al Valor Militare: una Medaglia d'Oro alla Memoria, 3 Medaglie d'Argento, 10 di Bronzo, 30 Croci di Guerra al Valore, oltre a 624 Croci al Merito di Guerra e 629 Encomi Solenni.
 
Queste le motivazioni delle decorazioni al Gagliardetto:
 
Croce di Cavaliere dell'Ordine Militare d'Italia:
"Sempre magnifica nelle più aspre battaglie, seppe credere, obbedire, combattere, dando il più generoso contributo di valore e di sangue per la gloria e le insegne di Roma".  Guerra Italo-Etiopica 1935-1936
 
Medaglia d'Argento al Valor Militare:
"In sei mesi di aspra campagna sia nella difesa, che nell'offesa, si prodigava in fatica, valore e coraggio, oltre ogni limite di sacrificio. In violenti combattimenti ha inflitto al nemico fortissime perdite, spianando la via alla vittoriosa avanzata bagnando con sangue generoso delle sue camicie nere il terreno conquistato dal valore dei figli della nuova Italia". Somalia, dicembre 1935 - maggio 1936 

venerdì 27 febbraio 2015

Danilo Errico Capo di Stato Maggiore dell'Esercito

 
Dal 27 febbraio il Generale di Corpo d'Armata Danilo Errico è stato nominato nuovo Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Italiano. Errico, che succede al Generale Claudio Graziano che dal giorno 28 febbraio ha assunto la carica di Capo di Stato Maggiore della Difesa, era stato designato durante l'ultimo consiglio dei ministri dal Ministro della Difesa Roberta Pinotti. L'avvicendamento al vertice dell'Esercito si è svolto nel pomeriggio di venerdì 27 febbraio al Centro Ippico Militare di Tor di Quinto con una solenne cerimonia cui hanno presenziato il Ministro della Difesa Pinotti, con i Sottosegretari Gioacchino Alfano e Domenico Rossi ed il Capo di Stato Maggiore della Difesa uscente Ammiraglio Binelli Mantelli con la partecipazione delle rappresentanze di tutte le componenti dell'Esercito, fra cui spiccavano i Lancieri di Montebello che proprio nell'ippodromo di Tor di Quinto hanno la propria caserma, e delle varie associazioni d'arma. Il Generale Danilo Errico, proveniente dai Bersaglieri, è nato a Torino nel 1953 ed ha frequentato negli anni '70 l'Accademia di Modena  per poi essere nominato Tenente della Brigata Bersaglieri "Garibaldi", dal 1983 è stato, quale pilota di elicotteri, in forza all'Aviazione dell'Esercito. E' stato promosso Generale di Brigata nel 2003 assumendo poi vari comandi operativi nell'ambito della missione KFOR in Kosovo e della missione Isaf in Afghanistan, dal 2013 al 2015 è stato Sottocapo di Stato Maggiore della Difesa.
 
Errico è Cavaliere dell'Ordine Militare d'Italia ed è insignito inoltre, tra le altre, del grado di Grande Ufficiale dell'Ordine al Merito della Repubblica, della Medaglia di Bronzo al Valore dell'Esercito, della Medaglia Mauriziana, della Legion d'Onore francese e della Cruz Blanca al Merito Militar spagnola.  

mercoledì 7 gennaio 2015

Camillo Ruggera, il soldato che visse tre volte


Personaggio semisconosciuto che ha attraversato oltre vent'anni di storia europea partecipando ad entrambi i conflitti mondiali con ruoli che lo hanno portato ad essere in prima persona nei momenti in cui si scriveva la storia.
Camillo Ruggera nacque nel 1887 a Predazzo, nel Tirolo austriaco, da una famiglia italiana, figlio di un sott'ufficiale della Gendarmeria originario di Zara e di una madre trentina. Fu avviato sin da giovanissimo alla carriera militare frequentando la scuola di guerra di Vienna dalla quale uscì nel 1904 col grado di Alfiere per poi essere incorporato nell'Imperial Regio Esercito austro-ungarico, nel quale si mise immediatamente in luce conseguendo in appena dieci mesi la promozione a sottotenente. Trasferito in seguito alla divisione "Adige" fu protagonista di una fulminea e brillante carriera in seno ai Kaiserjager, i cacciatori imperiali tirolesi, nei cui ranghi raggiunse la promozione a capitano all'inizio del 1915 e con cui partecipò alla Prima Guerra Mondiale. Nella Grande Guerra fu dapprima membro della missione austriaca in Turchia, poi partecipò alle operazioni sul fronte italiano venendo gravemente ferito nel corso dei combattimento sull'Isonzo, ferita che lo costrinse ad lunga convalescenza di oltre un anno. A partire dall'aprile del 1917,come Capitano di Stato Maggiore, entrò a far parte del Comando Supremo dell'Esercito, in seno al quale svolse un intenso lavoro in preparazione della dodicesima Battaglia dell'Isonzo che portò all'offensiva su Caporetto nell'ottobre '17, fu poi uno degli estensori del piano di attacco sul Piave nel giugno 1918, passato alla storia come "Battaglia del Solstizio". Nella fredda mattina del 29 ottobre 1918 fu a capo della delegazione austriaca  che passò le linee italiane a Serravalle d'Adige per consegnare la richiesta di armistizio da parte dell'Austria. Pochi giorni dopo prese parte alle trattative che portarono all'Armistizio di Villa Giusti del 3 novembre, assieme al generale Viktor Weber von Webenau, ai colonnelli Schneller e von Nyékhegyi, al Tenente Colonnello Viktor von Seiller ed agli ufficiali di Marina Johannes von Liechtenstein e Zwierkowski.
Finita la guerra continuò la carriera nell'esercito austriaco conseguendo la promozione a Tenente Colonnello nel 1921 e nel 1928 al grado di Colonnello, nel corso degli anni '20 fu membro di diverse commissioni diplomatiche e tra il 1928 e il 1929 fu consulente del Ministero Federale dell'Esercito per poi ritornare a ruoli operativi ricoprendo la carica di Capo di Stato Maggiore della Terza Brigata di Fanteria dal 1929 al 1932. Nel 1933, designato Conservatore dell'Archivio di Guerra, si dimise da tutti gli incarichi, dichiarando successivamente di disapprovare la politica del cancelliere Engelbert Dolfuss. Già da tempo infatti Ruggera era tra i capi militari che avevano aderito al Partito Nazional Socialista Austriaco, adoperandosi intensamente per l'Anschluss, la riunificazione di Germania e Austria sotto il governo del Reich. Fu per alcuni anni comandante delle SA austriache prima di rientrare nei ranghi dell'esercito nel 1938 con il grado di GeneralMajor, venendo in seguito destinato allo Stato Maggiore della Luftwaffe. Fino al 1940 fu comandante della Seconda Regione Area di Posen e nel dicembre di quell'anno fu promosso General der Flakartillerie, con questo grado dal 1941 al 1942 fu nominato Ispettore Generale delle difese antiaeree presso il comando di Düsseldorf. Fu congedato definitivamente dal servizio attivo il 30 novembre 1942 ritirandosi a vita privata, morì il 27 gennaio del 1947 per un attacco cardiaco nella propria residenza bavarese nella cittadina di Hof an der Saale.

Camillo Ruggera fu prima d'ogni altra cosa un soldato, un militare, educato sin dall'infanzia alla religione del dovere marziale, una linea di condotta alla quale rimase fedele per tutta la propria esistenza. Non ebbe lo slancio del condottiero e giocò un ruolo spesso da comprimario pur negli avvenimenti di enorme portata storica nei quali fu coinvolto (secondo la testimonianza di Giovanni Battista Tremer, uno scienziato trentino che nel 1915 si arruolò volontario nell'esercito italiano e fu membro della commissione di armistizio, durante le trattative egli "non aprì mai bocca"), ma fu ufficiale coraggioso e dotato di grande dedizione che costruì una carriera lenta ma prestigiosa in ben tre eserciti. Politicamente fu sempre un uomo d'ordine e un conservatore, marziale anche nelle scelte ideologiche, per questo negli anni '30 vide nell'unione tedesco-austriaca la restaurazione di quel mondo di ideali patriottici e tradizioni militari a cui sentiva di appartenere. Forse menomato dalle sue origini italofone, sicuramente perché capace esecutore ma privo di slanci ambiziosi, non ebbe ruoli politici di rilevo nel Reich riunificato pur essendone stato una dei promotori da parte austriaca, accontentandosi di riprendere la carriera in uniforme a lui più congeniale, si ritrovò però a gestire il fondamentale settore della difesa antiaerea, in un periodo, i primi anni '40, in cui la superiorità aerea tedesca era ancora forte. Fu sfiorato, ma lasciato praticamente indenne, dall'epurazione post-bellica. Un personaggio non molto complesso, poco conosciuto, militare a tutto tondo, che seppe affrontare con rettitudine, dignità e dedizione tutti i rivolgimenti della prima metà del '900.