mercoledì 30 novembre 2016

La Marina testa il missile Aster 30


Lo scorso 22 novembre la Marina Militare Italiana ha lanciato per la prima volta un missile Aster 30 telemetrico. Il lancio è stato effettuato dalla fregata Bergamini, presso il poligono sardo di Salto di Quirra, ed è stato un successo secondo quando hanno riferito i vertici della Marina. Il lancio rientra nel programma missilistico terra-aria di auto-difesa estesa SAAM ESD, volto a qualificare il sistema missilistico e gli equipaggi, e si concluderà all'inizio del 2017 testando la modalità integrata di lancio con il sistema di combattimento di bordo. Il sistema missilistico Aster 30 rappresenta un vanto dell'alta tecnologia dell'industria nazionale della difesa, è prodotto sotto la responsabilità della società italiana MBDA IT,  ed è composto da un calcolatore AGIS per le funzioni di comando e controllo, da un radar multifunzione attivo MFR-A (Multi Function Radar – Attivo) per le funzioni di ricerca, scoperta e tracciamento bersagli, da un sistema guida missili e dal gruppo di due moduli di lancio verticale Sylver A-50. Il sistema SAAM ESD  - acronimo di Surface to Air Anti Missile System Extended Self Defence - una volta entrato pienamente a regime, consentirà di innovare ed ampliare il concetto di autodifesa della singola unità addetta al lancio, estendendo le funzioni anche alla difesa di altre unità, come nel caso di un gruppo navale impegnato in attività operativa congiunta.

martedì 8 novembre 2016

Ammiraglio Francesco Ruta, una vita sul mare

    

     Francesco Ruta vide la luce il 3 marzo del 1899, ad Aversa, nell’antico palazzo dei marchesi de Marinis in via Roma ove da tempo si era stabilita la sua famiglia. Suo padre era il Maestro Alfonso Ruta, insigne musicista e compositore che preferì legare la propria esistenza alla città natìa, ove fu a lungo maestro di musica ed animatore di eventi pubblici, piuttosto che seguire il suo genio verso la grande fama internazionale che pure avrebbe meritato. Sua madre era Maria Bassino dei Marchesi de Marinis, donna di antico casato e di grande personalità che diede alla luce quattro figli, oltre a Francesco nacquero infatti Alessandro, Luigi, Eleonora e Anna. Il giovane Francesco frequentò ad Aversa il ginnasio del Liceo “Domenico Cirillo”, tradizionale fucina dei talenti aversani, ma a soli quattordici anni abbandonò la vita civile e si iscrisse ai corsi dell’Accademia Navale di Livorno conseguendo in breve tempo la nomina a Guardiamarina nel 1917. Partecipò dalla fine del 1917 alla Prima Guerra Mondiale, prese parte alle operazioni in Adriatico imbarcato sulla nave scuola Flavio Gioia e successivamente a bordo della corazzata Regina Elena. Pose le basi per una luminosa carriera che lo vide emergere rapidamente nelle fila della Regia Marina. Tra il 1928 e il 1930, con il grado di Capitano di Corvetta, fu al comando di diverse torpediniere costiere ed ottenne il suo primo comando importante sulla tolda della cannoniera Aurora.

Nei primi anni ’30 fu direttore di tiro a bordo dell’incrociatore pesante Trieste, verso la fine del 1931 fu imbarcato come Comandante in 2ª sull’incrociatore Libia che compì una campagna di circumnavigazione del globo durata svariati mesi. Poco tempo dopo, nel 1932, assunse il comando della cannoniera Caboto dislocata a Shanghai, in Cina, a protezione della concessione commerciale italiana di Tientsin. A bordo della Caboto compì un lungo ciclo operativo in estremo oriente avendo come base Tientsin ed effettuando ripetute perlustrazioni sui fiumi interni cinesi tra Shanghai e Hankow, nel 1932 assunse il comando del Battaglione Italiano in Cina, un reparto terrestre incaricato di garantire la sicurezza degli interessi italiani. Dopo essere brevemente rientrato in patria, in virtù della competenza acquisita nella realtà orientale, venne destinato nuovamente alla missione militare in Cina presso il Comando della Divisione Navale dell’Estremo Oriente, promossa dal Ministero degli Esteri nel 1936. Fece ritorno in Italia nel 1937. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale era in servizio presso SUPERMARINA, al quale era stato assegnato dall’estate del ’40. In questo particolare ambiente seppe muoversi con la consueta competenza e decisione, coadiuvando al meglio le scelte dei vertici della Marina da Guerra, le sue doti non passarono infatti inosservate e dopo solo pochi mesi, nel febbraio 1941, fu promosso Capitano di Vascello. A maggio di quello stesso anno riprese la via del mare, il giorno 6 si imbarcò a bordo dell’incrociatore pesante Bolzano assumendone il comando, gli fu affidata una delle navi da battaglia più moderne della nostra flotta, veloce e potentemente armata, con la quale fu duramente impegnato per tutta l’estate del 1941 nelle missioni di scorta ai convogli che nel canale di Sicilia assicuravano i rifornimenti dalla madrepatria al fronte nordafricano. L’incrociatore Bolzano rappresentava la punta di eccellenza della marina italiana, varato nel 1932, apparteneva alla classe degli incrociatori pesanti “Trento”, di cui era una particolare evoluzione con specifiche peculiarità di costruzione che ne fecero un unicum fra le navi italiane.  Aveva un dislocamento a pieno carico di oltre 13.000 tonnellate, una lunghezza di 196 metri ed una larghezza massima di 20 metri. L’equipaggio era costituito da circa 700 marinai guidati da 25 ufficiali, una notevole massa di uomini per guidare la quale erano necessari una grande saggezza ed un innato carisma, doti che Ruta dimostrò sin da subito di possedere. Tutti i membri dell’equipaggio erano poi ispirati e trascinati all’ardimento dal motto che contraddistingueva la nave “A magnanima impresa intenta ho l’alma”.
L'incrociatore Bolzano nel 1942

Il comportamento impeccabile ed eroico tenuto nei tragici momenti di quell’estate gli valsero importanti riconoscimenti, fu decorato della Medaglia d’Argento al Valor Militare per l’eroico salvataggio del Bolzano del mese di luglio, e della Medaglia di Bronzo per le operazioni di soccorso dopo il bombardamento su Messina, entrambe le concessioni vennero fatte “sul campo”, segno tangibile della eccezionalità degli atti compiuti e dell’ammirazione che aveva destato nei propri superiori. Ruta tenne il comando dell’incrociatore Bolzano fino al 30 aprile del 1942, quando una improvvisa malattia, con alterni accessi di febbre, probabilmente frutto anche dei lunghi mesi di infaticabile azione di comando e delle gravose responsabilità in mare aperto, lo costrinse a sbarcare e ad un periodo di riposo forzato, lontano dal tuono dei cannoni e dagli spruzzi di spuma marina. Il periodo trascorso a terra durò diversi mesi ed ebbe termine il 15 gennaio del 1943, data in cui Ruta assunse il comando dell’Andrea Doria, una corazzata della classe “Caio Duilio” entrata in servizio già nel 1916 e completamente riallestita subito prima la Seconda Guerra Mondiale. Ormai quarantaquattrenne, giunto al grado di Capitano di Vascello, il Comandante Ruta toccò con questo incarico l’apice della sua carriera in tempo di guerra, si vide affidato un comando prestigioso sulla tolda di una delle maggiori navi da battaglia della marina italiana, benché con un’attività operativa piuttosto limitata. Il 1943 fu anno terribile per le forze armate italiane e per la marina in particolare, il Comandante Ruta si ritrovò a fronteggiare una situazione particolarmente critica, in uno settori più esposti alla costante offesa aerea nemica. Col progredire dei mesi e con l’andamento negativo della guerra la situazione nella base adriatica peggiorò ulteriormente, in particolare dall’estate la minaccia dei bombardamenti fu pressoché quotidiana, suggerendo al comandante dell’Andrea Doria di far tenere sempre pronte le proprie difese antiaeree. 

Francesco Ruta sarà tra gli attori delle tragiche e concitate giornate dell’Armistizio, già il 6 settembre la flotta italiana era stata messa in stato di allarme dalla presenza di una numerosa squadra navale inglese che puntava verso l’Italia centrale, il Comando Supremo aveva quindi disposto che le Forze Navali da Battaglia uscissero in mare al completo per contrastare l’invasione della penisola intercettando la navi alleate nel Golfo di Salerno, dopo poi effettivamente si sarebbe compiuto lo sbarco. Nella serata del 7 il Ministro della Marina, l’Ammiraglio Raffaele De Courten, affidò a Ruta il delicato compito di recarsi l’indomani all’Alto Comando Tedesco a Frascati per concordare con il Feldmaresciallo Kesserling il potenziamento della scorta area tedesca che sarebbe stata assegnata alla flotta italiana durante l’azione di contrasto alla sbarco anglo-americano. Le condizioni dell’azione furono stabilite durante un colloquio diretto tra il Comandante Ruta ed il Feldmaresciallo Wolfram Von Richthofen, comandante della Luftwaffe per l’Italia e il settore del Mediterraneo, i tedeschi avrebbero fornito venti aerea da caccia che si sarebbero affiancati ai dieci apparecchi italiani di scorta, fu anche stilato un dettagliato elenco di aeroporti dislocati lungo la rotta delle navi, dai quali gli aerei sarebbero dovuti decollare per assicurare una costante copertura alla Flotta. Ruta fece appena in tempo a comunicare al Ministero della Marina l’esito del colloquio nel pomeriggio di quell’8 settembre in cui fu annunciato l’armistizio fra l’Italia e le nazioni alleate, ma l’azione contro gli inglesi non ebbe mai luogo, mentre invece una parte della nostra flotta, fra cui l’ammiraglia corazzata Roma, fu colata a picco dai tedeschi il 9 settembre, nella stessa giornata in cui, in ottemperanza alle clausole dell’armistizio, fu ordinato alle navi italiane di consegnarsi agli ex nemici. Ruta rimase bloccato a Roma per alcuni giorni, verso le 17.00 di quel pomeriggio la Doria innalzò le insegne nere come convenuto e partì alla volta di Malta senza il suo comandante. Poche settimane dopo Francesco Ruta raggiungerà i suoi uomini condividendo con loro la triste sorte dell’internamento, mettendosi a disposizione del cosiddetto Regno del Sud.

Ruta a bordo dell'Andrea Doria 

In questo periodo visse anche un particolare travaglio personale in cui si intrecciarono la delusione per il trattamento umiliante a cui le forze angloamericane sottoposero gli equipaggi italiani e le preoccupazioni per la sorte della propria famiglia, poiché, mentre gran parte dei suoi familiari erano rimasti ad Aversa, che si trovava nelle immediate retrovie del fronte della Linea Gustav, suo fratello Alessandro operò negli stessi drammatici giorni una scelta radicalmente opposta, divenendo uno degli ufficiali di vertice delle forze armate della Repubblica Sociale al nord. Nonostante il difficile frangente seppe farsi trovare pronto quando, nell’aprile 1944, fu chiamato ad un nuovo incarico a terra, ricoprì la carica di Capo Reparto presso lo Stato Maggiore della Marina nell’Italia meridionale, con quel che rimaneva della Marina impegnato nella cobelligeranza con gli angloamericani, ed in seguito a Roma ove rimase fino alla fine del conflitto. Vennero gli anni difficili del dopoguerra, durante i quali il paese visse un periodo di profondi rivolgimenti politici e sociali, in una situazione generale di grande povertà materiale che non risparmiò neanche le forze armate, costrette in una grave penuria di mezzi che toccherà in primo luogo la Marina, privata di gran parte del suo naviglio sia dagli eventi della guerra che dalle pesanti clausole del trattato di pace. Mantenne il suo incarico presso lo Stato Maggiore della Marina fino al 1947, in seguito, per quattro anni, resse la Direzione Generale del ricostituito Corpo Equipaggi della Marina Militare, ove profuse a fondo tutte le sue energie per accelerarne la riorganizzazione. Nel 1948 la Medaglia d’Argento conquistata sul campo gli fu commutata nella concessione della Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare d’Italia, nello stesso anno ottenne la promozione ad Ammiraglio di Divisione. Dopo essere tornato brevemente al comando della Direzione Generale del C.E.M.M., col grado di Ammiraglio di Squadra, fu nominato Segretario Generale per la Marina presso il Ministero della Difesa, carica che mantenne per circa tre anni dal 1953 fino alla fine del 1956, quando alla guida del dicastero c’era Paolo Emilio Taviani. Fu questa l’anticamera del periodo più prestigioso della sua carriera, il 28 dicembre 1956 fu designato Comandante del Mediterraneo Centrale delle forze navali NATO e contestualmente Comandante in capo del Dipartimento Militare Marittimo del basso Tirreno con sede a Napoli, un ruolo di altissima responsabilità, al quale fu chiamato per scelta congiunta dei rappresentanti di tutti i paesi dell’Alleanza Atlantica e che seppe assolvere con dedizione impeccabile. Entrò effettivamente nelle sue nuove funzioni all’inizio del 1957 e per tre anni svolse un’intensa attività sia operativa che di rappresentanza in giro per l’Italia e per il Mediterraneo, le foto d’epoca lo ritraggono spesso accanto a Giulio Andreotti, che proprio in quegli anni fu Ministro della Difesa, ed hai vertici militari e politici italiani. A Napoli era, di fatto, l’autorità militare più importante, ospite d’onore delle tradizionali e suggestive parate militari che si tenevano un tempo sul lungomare, nonché oratore durante le cerimonie solenni in Piazza Plebiscito. 

Ovviamente il ruolo di un comandante NATO non poteva prescindere da frequenti impegni internazionali per il coordinamento delle attività operative dell’Alleanza Atlantica, in questa veste nel maggio 1959 compì un viaggio di cinque giorni in Grecia per incontrarsi con il suo omologo, l’Ammiraglio Tsasos, comandante delle forze navali NATO del Mediterraneo occidentale, fu l’occasione per visitare il paese e ispezionarne le potenzialità militari. In quella occasione Ruta fu decorato della Gran Croce dell’Ordine della Fenice, una decorazione conferita sovente agli stranieri che abbiano favorito la Grecia nel suo prestigio internazionale, un tangibile segno di amicizia e stima. Le sue doti e gli importanti servigi resi all’Italia non mancarono del resto di essere riconosciuti anche in patria, ove sin dal 1953 gli era stato conferito il grado di Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica, e qualche anno dopo il congedo, nel 1962, sarà gratificato ancora con la massima decorazione dell’Ordine, il cavalierato di Gran Croce.
L'Ammiraglio Ruta passa in rassegna un reparto della Marina greca

L’ultima prestigiosa tappa della sua lunga carriera militare, dopo che all’inizio del 1960 aveva cessato dalle funzioni di Comandante del Mediterraneo Centrale e del Tirreno, fu la nomina a Segretario del Consiglio Supremo di Difesa, il massimo organo di indirizzo politico-militare del paese, presieduto  del Presidente della Repubblica, Francesco Ruta vi partecipò per alcuni mesi, come massimo coronamento della propria storia con le stellette, al termine di quello stesso 1960, infatti, terminò il servizio permanente effettivo e fu collocato in ausiliaria.  Al termine della propria esperienza militare Ruta si dedicò agli affetti ed alla famiglia che continuava a vivere ad Aversa, dove gestiva la storica libreria voluta dal padre Alfonso Ruta che era divenuta una vera istituzione culturale in città. Nel 1960 gli fu offerta la presidenza della neocostituita Selenia, azienda controllata dallo stato che si impose a livello europeo nella costruzione di sistemi elettronici per i satelliti, gli impianti radar ed i sistemi missilistici, la cui sede era a Napoli. Benché si trattasse di un incarico civile, dal suo ufficio napoletano Ruta diresse le attività di una azienda strategica per il settore della difesa nazionale, pose l’esperienza ed il carisma maturati nei lunghi anni in Marina al servizio di una avanguardia tecnologica italiana. Concluse gli ultimi giorni ospite in casa della sorella Anna, che lo accudì negli ultimi tempi alleviandogli le sofferenze della malattia che lo colse e lo accompagnò sino alla morte nel 1975, quando aveva ormai settantasei anni. È sepolto nel cimitero di Aversa, ove, nell'ottobre del 1994 Comitati e Associazioni di Reduci, facenti parte dell’Associazione Marinai d’Italia, per tre giorni hanno reso omaggio alla sua tomba.