mercoledì 28 giugno 2017

Il Testamento del Capitano



Il primo conflitto mondiale rappresentò per ogni combattente coinvolto un’immane tragedia. Dal 1915 e negli anni successivi, la truppa stagnò nelle trincee per quella guerra che sembrava aver dimenticato le manovre classiche dell’arte militare e visse uno stato di sofferenza indefinito, senza la speranza di una fine che non fosse quella del logoramento.
Il canto per il soldato rappresentò una valvola di sfogo unica, capace di esprimere mutevoli e dolorosi stati d’animo, se non i disagi e le discriminazioni. In quel frangente temporale, un napoletano E. A. Mario, all’anagrafe Giovanni Gaeta, di professione impiegato delle poste, compose uno dei contributi canori sicuramente ispiratore del successo finale: con la Leggenda del Piave i combattenti marciarono alla vittoria e molti italiani la celebrarono nei decenni successivi. Ma altri numerosi inni divennero famosi in quel difficile momento storico del paese, molti dei quali nascevano da contingenze della vita di trincea o a seguito di particolari vicende, non sempre improntate all’eroismo.

Vogliamo soffermarci su uno di essi, famosissimo e proprio della tradizione corale alpina, il quale affonda invero, la sua reale origine in avvenimenti storicamente più antichi, durante i quali erano ancora lontani i tempi delle “penne nere” e delle vette alpine, e che si sono verificati nel profondo sud, ad Aversa, città attualmente in provincia di Caserta ma da sempre in prossimità di Napoli, che fu fondata dai normanni nell’XI secolo.  Al tempo del sanguinoso conflitto tra i francesi di Francesco I e le truppe imperiali di Carlo V, nel XVI secolo, fu terreno di aspra contesa armata. Nel 1528 la città era la più popolosa di Terra di Lavoro con una popolazione divisa tra l’ossequio ed il timore per i contendenti. Minacciato dalle avanguardie del Marchese Michele Antonio di Saluzzo, Capitano Generale delle Armi Francesi nel Reame di Napoli, un presidio spagnolo presente in città, opponeva una resistenza dovuta più all’orgoglio che alla speranza di vittoria, anche perché la città era dotata di mura basse e non idonee ad una difesa ad oltranza. Impossibilitato a resistere l’avamposto si vide costretto ad abbandonare la città, occupata, di seguito e rapidamente, dalle truppe oltremontane. I successivi tentativi di riconquista non sortirono effetti a causa dell’esiguo numero degli assedianti, facendo sì che essi fossero ricacciati nel sangue. Ma poco dopo, il grosso delle truppe imperiali del Principe d’Orange sopraggiungeva e vinceva la resistenza della città con le artiglierie, che rasero al suolo varie parti del perimetro murario, ferendo gravemente lo stesso Marchese di Saluzzo. Di seguito, gli aversani pregarono i francesi di richiedere una resa onorevole tendente a salvare la vita della popolazione, la città, le insegne di essa.  Il 30 agosto venivano concordati i capitoli di resa da parte delle opposte ambascerie.

Michele Antonio del Vasto, Marchese di Saluzzo

A seguito della successiva morte del Marchese di Saluzzo, avvenuta di lì a poco per le ferite riportate nel bombardamento aversano, i suoi soldati gli dedicavano un canto di elogio e  di commemorazione dal titolo Testamento del Marchese di Saluzzo.  In esso si descrive l’agonia del Comandante, che in un ultimo moto d’orgoglio manda a chiamare le truppe per passarle in rassegna. Queste rispondono al marchese che andranno da lui solo dopo aver atteso ai compiti militari, compiuti i quali si schierano per farsi passare in rivista. Durante la sfilata il comandante fa ordinare, come ultima volontà, che il suo corpo dopo la morte sia diviso in quattro parti da inviare al re di Francia, alla sua patria il Monferrato,  alla mamma ed infine alla sua donna, Margarita, la quale alla notizia per il mancato ritorno del Marchese di Saluzzo sviene per il dolore. Il canto, di per sé molto poetico e commovente, palesa un’immagine ricorrente nella poesia popolare di ogni tempo e ripropone un tema, definito da Pablo Neruda del cuerpo repartido, in cui il cantore immagina le parti del corpo del protagonista della composizione sparpagliate nel mondo a gloria di sé e della sua patria. Il canto fu di seguito rielaborato in varie versioni, ma durante la Grande Guerra fu nuovamente intonato per essere adattato alla vita di trincea e diffuso con il titolo del Testamento del Capitano.

Così le travagliate vicende storiche di quella lontana contesa tra stranieri nel meridione d’Italia, divennero causa determinante per la nascita del Testamento, uno dei canti corali ancor oggi, più conosciuti ed eseguiti dei repertori delle truppe di montagna italiane.



IL TESTAMENTO DEL MARCHESE DI SALUZZO
(Composto ad Aversa nel 1528)
Sur Capitani di Salusse
L’a’ tanta mal ch’a murira’.
Manda ciame’ sur Capitani,
Manda ciame’ li so solda’;
Quand ch’a l’avran munta’ la guardia
O ch’andeisso un po’ a vede’.

I so solda’ ja’n fait
Ch’a l’’an l’arvista da passe’
Quand ch’a l’avran passa’ l’arvista
Sur Capitani andio vede’.

<<Coza comand lo Capitani,
Coza comand ai so solda’?>>.
<< V’aricomand la vita mia
che di quat part na debie’ fa’.

L’e’ d’una part mande’ la an Fransa
E d’una part sul Munferrà.
Mande’ la testa a la mia mama
Ch’a s’aricorda del so prim fiol.
Mand’ i Corin a Margarita
Ch’a s’aricorda del so amur>>

La Margarita in su la porte
L’e’ cascà in terra di dolur.

IL TESTAMENTO DEL CAPITANO
(Intonato dalle truppe di montagna italiane)
Il capitan della Compagnia
 è ferito, sta per morir.
Manda a dire ai suoi alpini
Che lo vengano a ritrovare.

I suoi alpini gli mandano a dire
Che non hanno scarpe per camminare:
<<O con le scarpe o senza scarpe
 i miei alpini li voglio qua>>.
<<Cosa comanda Signor Capitano
che noi alpini siamo arrivati?>>.

<<Ed io comando che il mio corpo
 in cinque pezzi sia tagliato
.
Il primo pezzo alla mia patria,
il secondo pezzo al Battaglion;
il terzo pezzo alla mia mamma
che si ricordi del suo figliuol.

Il quarto pezzo alla mia bella
Che si ricordi del suo primo amor,
l’ultimo pezzo alle montagne
che lo fioriscano di rose e fior>>. 

Salvatore Palladino