Alla Libia era avvezzo, essendo già stato volontario in Cirenaica nel 1914, guadagnandosi in due anni la nomina a caporal maggiore e poi la promozione a sergente di complemento, oltre ad una prima ferita di guerra e ad una proposta di decorazione al valore. Finita la prima guerra mondiale ottenne il passaggio in servizio permanente e la nomina a sottotenente nel 1920, assegnato il 48° reggimento Fanteria, negli stessi anni si iscrisse al PNF e venne nominato nel direttorio dei fasci della Sardegna. Tra il 1923 e il 1926 tornò al Regio Corpo Truppe Coloniali e fu assegnato alla Cirenaica prendendo parte a numerosi cicli di operazioni della riconquista libica, nella quale si distinse per slancio e coraggio in molti scontri sanguinosi con i ribelli della Senussia, in particolare si segnalò agli alti comandi per l'energica azione alla testa di una banda irregolare tra il Gebel e Cirene. Trasferito a domanda al Regio Corpo Truppe Coloniali della Somalia nel 1935, partecipò con entusiasmo alla guerra d'Etiopia con un gruppo bande di frontiera, ottenendo la promozione a capitano alla fine del 1936 e restando in colonia per partecipare alle operazioni di polizia coloniale, nelle quali fu ripetutamente ferito e fu decorato di una medaglia di bronzo ed una d'argento al Valor Militare. Gli fu in seguito assegnato il comando del V sottogruppo bande Dubat, slanciandosi in innumerevoli combattimenti nell'Ogaden, nel corso dei quali seppe trascinare i propri uomini alla distruzione di agguerrite formazioni di insorti e nella conquista di un ingente bottino, rinnovando il mito dei Dubat "arditi neri", al cui fianco volle rimanere nonostante le varie ferite in combattimento.
Il 3 marzo 1937, durante una grande azione di rastrellamento alla testa del III Battaglione arabo-somalo, fu gravemente ferito all'occhio sinistro, ma rifiutò di abbandonare il proprio posto di comando per farsi trasportare in infermeria, restando sul campo fino alla conclusione delle operazioni. Questa ostinazione gli causò la totale perdita dell'occhio ed un successivo lungo periodo di degenza, per tale azione, e per il comportamento nell'intera campagna, nel 1939 gli sarà conferita la Medaglia d'Oro al Valor Militare. Nel 1938 è posto in congedo e inizia a dedicarsi con maggiore incisività all'attività politica, segnalandosi in particolare come pubblicista sulle questioni coloniali: collaborò, tra gli altri, alle riviste Espansione Imperiale e Africa italiana, quest'ultima edita dal Ministero delle Colonie.
Il percorso politico fu assai meno brillante, era poco avvezzo ai sofismi ideologici ma animato da un sincero spirito patriottico e da un coraggio indiscutibile, personaggio dai modi rudi e schietti che mal si conciliavano con ritmi della politica. Che la vita del funzionario gli stesse stretta lo dimostra il fatto che dopo l'inizio della seconda guerra mondiale, ormai quarantacinquenne e malgrado la mutilazione all'occhio, ottenne di partire volontario per il fronte nordafricano, ancora una volta tra le sabbie e le armi, che erano divenute suo ambiente d'elezione. Destinato al X Corpo d'Armata prese attivamente parte alle azioni di guerra, finché nel 1941 fu nominato federale del PNF di Bengasi, dedicandosi in particolare all'assistenza alla popolazione civile durante i furiosi bombardamenti, nel corso di uno dei quali perse la vita sua moglie, e dopo la fine dell'occupazione inglese con il ritorno delle autorità italiane. Ancora nel 1942 fu uno degli organizzatori dell'esodo dei profughi italiani verso occidente, sulle piste della marmarica non esitando anche ad esporsi ai pericoli della prima linea. Fu decorato per queste attività di un'altra medaglia d'argento e di una seconda medaglia di bronzo al Valor Militare. Dopo il rimpatrio fu nominato federale di Corfù nel gennaio 1943, ma vi rimase pochi mesi per via dell'evacuazione dei civili italiani dall'isola, venendo nominato nell'estate successiva federale di Catanzaro.
Fu dopo l'8 settembre che il suo nome assurse ai vertici della vita politica italiani, egli fu infatti uno dei pochi gerarchi che dopo l'armistizio si recò in Germania per offrire collaborazione ai tedeschi, indipendentemente dall'assetto istituzionale della nuova Italia. Forte della fama di intransigente e della fiducia di Pavolini fu incaricato di guidare la missione fascista a Roma che avrebbe dovuto coinvolgere il personale dei ministeri a collaborare con il nuovo stato fascista repubblicano e, soprattutto, convincere il maresciallo Graziani a partecipare al governo della nascente Repubblica Sociale Italiana. Fu questo, probabilmente, il più grande successo politico di Barracu, che mettendo sul piatto il proprio prestigio militare e la necessità di mitigare le ire dei tedeschi contro gli italiani, riuscì a convincere il suo vecchio comandante del fronte somalo ad aderire al progetto repubblicano, conquistando alla causa la personalità militare di spicco che tutti avevano cercato. Nel periodo '43-'45 fu sottosegretario alla presidenza del consiglio della RSI muovendosi a fatica tra le trame politiche dei mesi tragici di Salò, nei quali trovò comunque lo spirito di occuparsi della natia Sardegna, promuovendo il fascismo repubblicano sull'isola e la costituzione del battaglione "Angioy", interamente formato da sardi sbandati sul continente.
Il suo ultimo successo fu a metà strada tra l'azione politica e la pianificazione militare: all'inizio del 1944 condusse una serrata mediazione con il generale Operti, già comandante dell'intendenza della IV Armata e animatore delle bande partigiane di ex militari regolari che operavano in Piemonte, il risultato fu la consegna spontanea di molti ex ufficiali e lo smantellamento della rete di resistenza, con lo stesso Operti che si ritirò da ulteriori iniziative. Fu con Mussolini negli ultimi tentativi di trattativa con il CLN e nella colonna che fu intercettata sul lago di Como. Morì fucilato il 28 aprile 1945 a Dongo, dopo aver preteso invano di essere fucilato al petto, mostrando la medaglia d'oro.
Questa fu la motivazione della Medaglia d'oro al Valor Militare
"Espressione purissima del forte popolo sardo, superba figura di combattente e di valore leggendario, che non misura il pericolo ed il rischio se non per meglio affrontarli, che ha al suo attivo una lunga serie di azioni belliche ardimentose, condotte e risolte sempre brillantemente.
Durante la campagna italo-etiopica, assunto il comando di un reparto Dubat, ha saputo avvincere i suoi uomini alla sua volontà eroica e guidarli, di vittoria in vittoria, in numerosi durissimi combattimenti.
Incaricato di effettuare un'ardita azione punitiva contro una cabila Ogaden, che faceva causa comune con gli abissini, coi soli 300 suoi Dubat svolgeva un'operazione genialmente concepita ed audacemente condotta, che liberava il fianco sinistro delle nostre truppe del settore Ogaden, da una seria minaccia e fruttava il copioso bottino di un migliaio di fucili, 2500 cammelli e 1500 bovini.
Durante la battaglia dell'Ogaden, col suo reparto di invincibili Dubat, confermava le sue elette doti di comandante e di valore personale e, per quanto ferito alla gola, rimaneva al suo posto d'onore contribuendo efficacemente al successo delle operazioni.
Nella dura giornata di Uara Combo (3 marzo 1937) rimaneva gravemente ferito all'occhio sinistro, e benché conscio che il trascurare la ferita avrebbe potuto significare, come avvenne, la perdita dell'occhio stesso, rifiutava di farsi ricoverare all'ospedale e rimaneva col suo reparto fino ad operazioni ultimate. Al suo comandante che lo invitava a recarsi all'ospedale, rispondeva fra l'altro: 'Sò di avere perduto un occhio. Non importa. Sono pronto ancora a ricominciare'.
Il suo eroismo è stato spesso apprezzato ed ammirato dal nemico".
Ogaden - Hararino - Bale, ottobre 1935 - Marzo 1937