venerdì 15 dicembre 2017

L'arma chimica nella Prima Guerra Mondiale


Carabinieri mobilitati con il primo modello di maschera "Ciamcian-Pesci", formata da un tampone di garze imbevute di soluzione alcalina

I primi anni del XX secolo, dominati da un forte progresso tecnologico, segnano la mutazione del concetto di uso delle armi convenzionali nei conflitti: mentre l’Europa borghese gode gli ultimi anni della Belle Epoque, i quadri militari già preparano nuove sperimentazioni nell'arte della guerra spesso finalizzate alla distruzione di massa degli avversari. Nel 1911 erano stati proprio gli italiani ad effettuare il primo bombardamento aereo nella guerra di Libia e l’episodio aveva reso consapevole gli Stati Maggiori che altri mezzi di offesa potevano essere preparati per vincere e sottomettere eserciti e volontà politiche. Da allora la totalità dei conflitti del novecento sono stati contraddistinti dall'uso generalizzato di quei sussidi di morte, culminando nei decenni successivi nell'uso dell’arma chimica prima, nucleare e batteriologica poi.

Fanti francesi in trincea con il modello di maschera "fazzoletto", in uso fino alla fine del 1915

La prima guerra mondiale segnò l’affermazione dei gas asfissianti su scala diffusa. La seconda battaglia di Ypres, combattuta nell'aprile del 1915, viene unanimemente ricordata dagli storici, perché in quell'occasione fu effettuato da parte delle truppe tedesche il primo attacco con gas al cloro (Iprite), contro un contingente di truppe algerine. In verità era stato proprio l’esercito francese il primo a tentare, nell'ottobre precedente, un simile attacco, che però era fallito miseramente a causa di una temperatura rigidissima che aveva impedito la vaporizzazione dei gas nelle trincee. Dopo Ypres e con una cadenza sempre più frequente, l’uso dell’arma chimica divenne una orribile consuetudine e spinse i responsabili militari di ogni schieramento a ricercare la possibilità di arrecare eguale ed superiore danno al nemico.

Lanciere tedesco a cavallo, indossa una lederschutzmaske M17 in cuoio

La truppa cercò le prime contromisure con l’impiego di pezze di stoffa imbevute d’acqua o d’urina, con scarsissimi risultati concreti perché i soldati esposti alle nubi tossiche il più delle volte restavano accecati e soffocati, con un effetto psicologico veramente devastante. Nonostante la condanna generale verso tale tipo d’armamento, tutti gli eserciti saranno pronti ad usarli perfezionando i primi imperfetti gas con altri sempre più potenti e letali, verso i quali le prime maschere non riuscivano a fornire una protezione accettabile. Circa un anno dopo l’episodio di Ypres, anche sul fronte italiano si verificherà un avvenimento analogo, suscitando ancor maggiore impressione nell'opinione pubblica italiana ed europea. Sul Monte San Michele sul versante orientale del fronte, il 29 giugno 1916, i nostri fanti furono investiti prima dal gas austriaco per poi essere sopraffatti nelle trincee dall'intervento di alcuni reparti ungheresi che finirono la truppa, ormai inabilitata al combattimento, a colpi di mazze ferrate e mazzafrusti.

Salvatore Palladino

Sullo stesso argomento
La maschera antigas modello Harrison

Nessun commento:

Posta un commento